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Profili operativi della separazione contabile nel Tuspp
di Roberto Camporesi 17 febbraio 2021
Materia: società / partecipazione pubblica

Profili operativi della separazione contabile nel Tuspp

Dott. Roberto Camporesi

 

Art. 6 comma 1: la fonte normativa contenuta nel Tuspp

Il comma 1 dell’articolo in commento ha un contenuto normativo diverso rispetto agli altri commi, poiché non riguarda la governance e l’organizzazione della società pubblica in generale, ma uno specifico aspetto che attiene in modo diretto al profilo della tutela della concorrenza. Esso stabilisce, infatti, che: “Le società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all’obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell’articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, adottano sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività”.

Secondo autorevole dottrina la norma istituisce “un “privilegio organizzativo” a favore delle società in mano pubblica, che sembra doversi spiegare essenzialmente per ragioni di economicità, esentandole dall’applicazione del (più oneroso) obbligo di separazione societaria che scatta in tutti i casi in cui un’impresa, titolare per legge di un diritto di monopolio o esercente servizi d’interesse economico generale, intenda operare anche in altri mercati o esercitare attività diverse da quelle protette da diritti speciali o esclusivi.”[1]

Risulta evidente che la disposizione si pone a diretta declinazione dell’art. 106 TFUE, che stabilisce:

«1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 esclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata […]». Prescrivendo la separazione dell’attività primaria svolta sulla base di diritti speciali o esclusivi da quelle complementari si vuole evitare, infatti, che l’impresa possa sfruttare su altri mercati, aperti alla concorrenza, il vantaggio che le deriva dal regime protetto in cui essa opera legalmente.

La separazione contabile implica verosimilmente l’adozione di un modello organizzativo di tipo “multi-divisionale” da parte della società e, in ogni caso, di un adeguato sistema informativo e contabile, che consenta l’individuazione dei costi e ricavi imputabili a ciascun “settore” e la distinta rendicontazione dei risultati dell’attività.[2]

La dottrina ha sottolineato la evidente sostanziale equivalenza dei presupposti della norma in commento con quelli dell’art. 8, comma 2-bis, l. n. 287/1990, che richiama il precedente comma 2, riguardante le «imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato»; e ha osservato altresì che, se la società a controllo pubblico opera già, nei settori diversi da quelli esercitati in base a diritti speciali o esclusivi, secondo il modulo organizzativo della separazione societaria, può anche mantenerlo perché esso presenta un quid pluris, in termini di trasparenza e tutela della concorrenza, rispetto alla mera separazione contabile. Infatti, dal punto di vista della tutela della trasparenza delle informazioni, la separazione societaria (evocata dall’art. 8 comma 2 bis qui in commento) e la separazione contabile (evocata dall’art. 6 comma 1 come interpretazione autentica del predetto art. 8 comma 2 bis) sono entrambi pratiche di unbundling. Si ricorda che per unbundling si intende separazione tra le varie componenti della filiera produttiva di un’impresa verticalmente integrata finalizzata a introdurre una maggiore competitività nel mercato di riferimento. L’unbundling. promuove l’apertura del mercato nei segmenti potenzialmente concorrenziali (produzione, approvvigionamento e vendita), separandoli dalle attività strutturalmente monopolistiche e favorendo l’accesso reale e non discriminatorio dei terzi ai servizi offerti dai proprietari delle infrastrutture (Third Party Access, TPA). Le attività caratterizzate da monopolio naturale sono tipicamente quelle legate alle infrastrutture essenziali non duplicabili (essential facilities), in quanto gravate da elevati costi fissi e costi non recuperabili (sunk cost). Nel settore energetico l’unbundling  ha avuto un ruolo fondamentale nel sostenere il processo di liberalizzazione del mercato, rafforzando la neutralità della gestione delle infrastrutture (trasmissione, distribuzione e misura nel settore dell’energia elettrica; trasporto, distribuzione, misura, stoccaggio e rigassificazione, nel settore del gas) e favorendo la concorrenza. Un altro caso rilevante di unbundling riguarda la separazione tra le diverse attività di imprese multiservizi (per es., energia elettrica e gas o gas e acqua, unbundling orizzontale), con la finalità di impedire o limitare la creazione di sussidi incrociati, che possono ostacolare l’entrata di nuovi concorrenti sul mercato di uno specifico servizio.[3] Il bundling, al contrario consiste, invece, nel raggruppare servizi diversi per venderli come pacchetto a un prezzo prefissato. I vantaggi del bundling sono legati alla diminuzione dei costi amministrativi e allo sfruttamento di economie di scala o di scopo. Rispetto al bundling, l’unbundling contribuisce ad aumentare la trasparenza dei costi e migliorare le basi informative per le attività di regolazione, a tutela dei clienti finali.

Da un lato la fonte normativa sopra citata e dall’altro si consideri anche, che in base all’art. 15, la “struttura” del Ministero dell’economia e delle finanze competente per l’indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del Tuspp, oltre a promuovere le “migliori pratiche” presso le società a partecipazione pubblica, è stata chiamata ad adottare nei confronti delle stesse le “direttive sulla separazione contabile” e a verificarne il rispetto e la trasparenza informativa.

In particolare, il d.lgs. n. 333/2003 definisce come impresa pubblica o privata “soggetta all’obbligo di tenere una contabilità separata” (art. 2) “ogni impresa che fruisce di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro a norma dell’articolo 86, paragrafo 1, del trattato (oggi art. 106 TFUE) o è incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale a norma dell’articolo 86, paragrafo 2, del trattato (oggi art. 106 TFUE), che riceve compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi e che esercita anche altre attività”.

Ai fini della trasparenza delle relazioni finanziarie, le imprese che beneficiano della assegnazione di risorse pubbliche, in qualsiasi forma (e cioè, secondo l’art. 4 d.lgs. n. 333/2003: a) ripianamento di perdite di esercizio; b) conferimenti a capitale sociale o dotazione; c) conferimenti a fondo perduto o prestiti a condizioni privilegiate; d) concessione di vantaggi finanziari sotto forma di non percezione dei benefici o di non restituzione dei crediti; e) rinuncia a una remunerazione normale delle risorse pubbliche impiegate; f) la compensazione di oneri imposti dai poteri pubblici), iscrivono tali assegnazioni in un apposito registro obbligatorio (art. 5 d.lgs. n. 333/2003). Inoltre, in base all’art. 6 dello stesso decreto, le imprese soggette all’obbligo di tenere una contabilità separata sono tenute altresì: a) alla separazione dei conti interni corrispondenti alle attività distinte; b) alla corretta imputazione o attribuzione dei costi e dei ricavi, sulla base di principi di contabilità dei costi applicati in modo coerente e obiettivamente giustificati; c) alla chiara definizione dei principi di contabilità dei costi, in base ai quali sono tenuti i conti separati; le stesse imprese predispongono una relazione sui sistemi di contabilità dei costi applicati.

Sebbene l’ambito di applicazione diretta del d.lgs. n. 333/2003 sia ristretto dal sistema di esclusioni e di soglie previsto dall’art. 9 e sollevi problemi di coordinamento con il Tuspp (donde appunto le previsioni di “orientamenti e indicazioni” in materia da parte della competente “struttura” del MEF), non v’è dubbio che il testo normativo fornisca una serie di spunti interpretativi importanti circa il modo in cui attuare, nelle società a controllo pubblico, l’obbligo di separazione contabile.[4]

Le diverse disposizioni in materia di separazione contabile presenti nell’ordinamento[5]

2.1. Si deve evidenziare che il bene protetto dai sistemi di unbundling è la trasparenza delle informazioni finanziarie, presupposto della tutela della concorrenza.

Il raggiungimento di un adeguato livello di trasparenza, in tutte le sue diverse accezioni, costituisce un obiettivo centrale in materia di aiuti di Stato. La complessa regolamentazione posta dall'Unione Europea, al fine di prevenire la concessione di aiuti incompatibili con il mercato interno, non può, infatti, trovare piena ed effettiva attuazione se non è assistita e completata da un'adeguata normativa in materia di trasparenza.

In questa sede si porterà all’attenzione che l'esigenza di trasparenza viene intesa come trasparenza delle relazioni finanziarie tra lo Stato, latu senso inteso, ed i potenziali beneficiari degli aiuti (di Stato).

2.2       Trasparenza e relazioni finanziarie:

2.2.1.   La direttiva 2006/111/EC

La necessità di rendere trasparenti i trasferimenti di denaro pubblico, direttamente o indirettamente, è stata particolarmente avvertita proprio con riferimento alla materia degli aiuti di Stato, in quanto il trasferimento di risorse statali costituisce uno dei quattro elementi che integrano un aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 107 TFUE. [6]

Conseguentemente, il legislatore europeo ha elaborato un sistema di regole volte a facilitare il ruolo di sorveglianza della Commissione; regole che sono state ripetutamente modificate ed integrate, sino all'adozione dell'attuale direttiva 2006/111/CE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese.

La ratio sottesa all'adozione di tali regole è subito chiarita nel preambolo della direttiva, il quale afferma che: “un'applicazione efficace ed equa alle imprese pubbliche e private delle regole del Trattato relative agli aiuti non può essere operata sino a quando tali relazioni finanziarie non siano rese trasparenti. Peraltro, in materia di imprese pubbliche, detta trasparenza deve permettere di distinguere chiaramente fra il ruolo dello Stato in quanto potere pubblico ed in quanto proprietario”.

Il titolo della direttiva CE identifica subito i due tipi di relazioni finanziarie sottoposte agli obblighi di trasparenza: (a) le assegnazioni di risorse pubbliche che lo Stato elargisce, anche indirettamente, a favore delle imprese pubbliche e (b) le assegnazioni che vedono coinvolte determinate imprese, pubbliche o private, tenute alla contabilità separata in quanto svolgono contemporaneamente ser­ vizi di interesse pubblico e attività in regime concorrenziale.

Conseguentemente, la direttiva CE stabilisce all'articolo 1 due obblighi fondamentali: (1) assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra poteri pubblici (i.e. lo Stato in senso stretto) ed imprese pubbliche, facendo risultare le assegnazioni dirette o indirette di risorse pubbliche 10; (2) assicurare che la struttura finanziaria e organizzativa delle imprese tenute all'obbligo di separazione contabile sia tale da consentire di individuare chiaramente - i.e. in modo tra­ sparente - i costi e ricavi delle diverse attività ed i relativi metodi di allocazione.

Al riguardo, la direttiva CE chiarisce che sono tenute all'obbligo di contabilità separata tutte quelle imprese che (i) fruiscono di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro ai sensi dell'attuale art. 106, comma 1, TFUE, (ii) sono incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (SIEG) a norma dell'art. 106, comma 2 del Trattato, che ricevono compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi e che esercitino anche altre attività, in regime di mercato.  In altre parole, imprese che svolgono «attività miste».

L'obbligo di separazione contabile viene quindi imposto proprio a quelle imprese che sono più a rischio di trasformare una legittima assegnazione in un aiuto di Stato illegittimo, in particolare attraverso la pratica dei finanziamenti incrociati.

Lo scopo è quello di stabilire condizioni e trattamenti economici speciali (sotto forma di diritti esclusivi, speciali o compensazioni) a determinati operatori per neutralizzare un fallimento di mercato e per svolgere un determinato servizio secondo modalità e livelli che nessun operatore privato potrebbe garantire o che comunque non garantirebbe “spontaneamente” a quelle condizioni; ciò nondimeno si doveva evitare che le imprese destinatarie facciano un uso distorto ed anticoncorrenziale di tali attribuzioni speciali, soprattutto se operano altresì in regime di concorrenza con altri operatori privati.

Appare opportuno precisare come il rispetto di questi obblighi di trasparenza, ed in particolare di separazione contabile, è stato espressamente ribadito dalla Commissione Europea anche con riferimento alle imprese c.d. in house providing.

La Commissione ha infatti precisato che “la decisione di un'autorità pubblica di non permettere a terzi di svolgere un determinato servizio (ad esempio perché desidera prestare il servizio in proprio), non esclude l'esistenza di un'attività economica. Nonostante tale chiusura del mercato, un'attività economica può esistere se altri operatori sono disposti a fornire il servizio nel mercato interessato e possono farlo. In linea generale, il fatto che un particolare servizio sia prestato in proprio non incide sulla natura economica dell'attività”.

Pur non menzionando direttamente né la formula in house providing, né la normativa in materia di aiuti di Stato, la Commissione, con questa affermazione, sembra voler regolare anche l'interazione tra questi due aspetti, posto che la normativa sugli aiuti di Stato si applica ogni qual volta si è in presenza di un'attività economica.

Per il vero, secondo la dottrina citata in nota, con tale assunto, la Commissione ha inteso, più in generale, sottolineare l'esigenza di trasparenza proprio in quei settori non ancora aperti alla concorrenza. In altre parole, riprendendo la schematizzazione proposta in introduzione, la Commissione mira qui a garantire tanto la prima, quanto la seconda accezione di trasparenza, i.e. trasparenza delle relazioni finanziarie e trasparenza nei settori non ancora interamente aperti al mercato.

La scelta di porre tutte le attività pubbliche “svolte in proprio” dallo Stato sotto l’egida della normativa sugli aiuti di Stato e, quindi, anche delle relative regole in materia di trasparenza finanziaria rileva dunque per il sistema dell'in-house providing. Secondo l’angolo di visuale prospetto tale scelta appare coerente con la già menzionata ratio, propria dell'obbligo di contabilità separata.[7]

2.2.2    La complessa e stratificata trasposizione a livello nazionale

La direttiva 2006/111/CE contiene le regole sulla trasparenza delle relazioni finanziarie “pubbliche”.  A livello nazionale sono state emanate diverse disposizioni al riguardo per la relativa trasposizione nella legislazione domestica, secondo un procedimento stratificato nel tempo ed il cui risultato attuale è la compresenza di regole solo in parte complementari, contenute in testi normativi diversi, continuamente modificati, e non sempre immediatamente riconducibili alla normativa in materia di aiuti di Stato.

2.2.2.1. La trasposizione dell'obbligo di separazione contabile

L'obbligo di separazione contabile è contenuto e disciplinato in tre diversi testi normativi nazionali.

Il primo testo legislativo che viene in rilievo è la c.d. legge Antitrust del 1990, il cui art. 8, comma 2[8], stabilisce, in linea generale, che le imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato non sono tenute al rispetto delle regole in materia di concorrenza - poste dalla stessa legge Antitrust - per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati. Tuttavia, il successivo comma 2-bis subito precisa che qualora tali imprese intendano svolgere anche altre attività in mercati diversi, in regime concorrenziale, esse sono tenute ad operare mediante società separate.

In caso di costituzione di tali società separate, la norma impone l'obbligo di preventiva comunicazione all'Autorità Antitrust prevedendo una specifica sanzione in caso di violazione.

In modo chiaro la norma stabilisce altresì che qualora tali imprese rendano disponibili beni o servizi di cui abbiano la disponibilità esclusiva, in dipendenza delle attività svolte ai sensi del comma 2, a società da esse partecipate o controllate nei  mercati diversi”, esse sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti. Il legislatore precisa espressamente che tale obbligo è imposto “al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica”.

Pur perseguendo la medesima ratio, la previsione interna impone quindi uno standard di separazione più elevato rispetto a quello previsto dalla direttiva europea sulla trasparenza, dal momento che richiede non una semplice “separazione contabile”, ma una vera e propria “separazione societaria”.

L’obbligo di “separazione societaria”, indubbiamente garante di un elevato livello di trasparenza delle relazioni finanziarie pubbliche, rappresentato un onere organizzativo gestionale molto incisivo per le imprese interessate, contribuendo alla proliferazione di un gran numero di entità pubbliche nel mercato interno; fenomeno, quest'ultimo, che ha portato spesso a gravi inefficienze e sprechi sul piano economico.

La modifica legislativa prevista dal Tuspp all’art. 6 è stata introdotta proprio al fine di ridurre questi fenomeni e favorire l'ormai prevalente ottica di liberalizzazione e dismissione delle quote societarie pubbliche non strettamente necessarie al perseguimento di interessi pubblici.

L'art. 6 Tuspp, già citato, ha infatti introdotto un'importante deroga alla regola generale posta dall'art. 8 della legge Antitrust. Il legislatore nazionale ha inteso adeguarsi allo standard europeo, almeno con riferimento ad un certo tipo di imprese pubbliche. Non sfugge al riguardo, sottolineare come la nozione di impresa soggetta a controllo pubblico non equivalga a quella di impresa pubblica.

L'analisi compiuta della nozione di impresa soggetta a controllo pubblico, così come delle eventuali ipotesi in cui, in concreto, si possano avere imprese affidatarie di SIEG che non siano, altresì, destinatarie di diritti esclusivi o speciali, trascende l'obiettivo del presente contributo. Preme qui solo sottolineare come, sebbene l'art. 6 si ponga formalmente come una deroga alla regola generale di separazione societaria, il suo impatto generale è molto rilevante in quanto si applica alla maggior parte delle imprese che svolgono attività miste.  A complicare ulteriormente il quadro sin qui delineato si pone il d.lgs. 11 novembre 2003, n. 333, il quale ha dato attuazione alla direttiva 2000/52/CE, che interveniva a modificare l'originaria versione del 1980 della direttiva sulla trasparenza e che è stata ormai abrogata dall'attuale direttiva 2006/111/EC (vedi supra). Tuttavia, la trasposizione a livello nazionale è rimasta, almeno formalmente, operante ed invariata e crea, quindi, non pochi problemi di coordina mento con le due previsioni dell'art. 8 della legge Antitrust e dell'art. 6 Tuspp.

Il d.lgs. n. 333/2003, infatti, ha introdotto in maniera assolutamente tralatizia, anche dal punto di vista della struttura del testo normativo, gli obblighi previsti dalla vecchia direttiva europea sulla trasparenza, incluso l'obbligo di separazione contabile.

Sorgono due quesiti:

-          Quale sia stata la necessità per il legislatore del Tuspp di introdurre una specifica deroga alla separazione societaria (e a far riferimento unicamente alla legge antitrust), posto che tale possibilità era già prevista, in via generale, in forza del d.lgs. 333 del 2003;

-          La riforma del 2016 del Tuspp debba intendersi come abrogatrice, in modo implicito, di quanto previsto dalla normativa del 2003.

Il quadro che emerge è caratterizzato da disorganicità e mancanza di attenzione nel raccordare le norme pertinenti; tuttavia, un argomento contrario all'abrogazione potrebbe rinvenirsi nel più ristretto ambito di applicazione del d.lgs. n. 333/2003, il cui art. 9 prevede un sistema di soglie e di limitazioni che ne riduce di fatto il perimetro applicativo [9]. Invece, tanto la legge Antitrust che il Tuspp non sembrano prevedere alcun tipo di soglia in tal senso. La modifica introdotta dall'art. 6, quindi, potrebbe servire ad ampliare il privilegio organizzativo del regime di separazione contabile anche a tutte quelle imprese soggette a controllo pubblico sinora escluse dal decreto legislativo del 2003.

2.3 La separazione contabile nel Codice Civile: perseguimento di altre finalità

Si rammenti che l’istituzione di sistemi di separazione contabile (e patrimoniale) è prevista, in generale, dal Codice civile per le società che abbiano emesso azioni correlate (art. 2350, comma 2) o istituito patrimoni destinati (art.2447-sexies) o contratto un finanziamento destinato a uno specifico affare (art. 2447-decies), oltre che dalla normativa tributaria per le attività economiche degli enti non commerciali (art. 144 t.u.i.r.) e dalla legislazione speciale dei settori regolari (art. 47 d.lgs. n. 177/2005 – t.u.s.m.a.r.; art. 25 d.lgs. n. 93/2011, recante la disciplina del mercato interno dell’energia elettrica e del gas naturale).

La separazione societaria nel precedente dell’art. 13 del Decreto Bersani  [10]

Nell’ambito della disciplina delle società a partecipazione pubblica, già antecedentemente alla entrata in vigore del Tuspp, si era concentrato la rilevanza dell’art. 8 della legge 287 relativamente alla distinzione tra società a partecipazione pubblica operanti in regime di affidamento diretto («organismi dedicati») e società a partecipazione pubblica operanti in regime di concorrenza («società di mercato»).

L’autorevole dottrina qui citata approfondisce l’argomento a commento della sentenza 4 maggio 2012 n. 865, del TAR Toscana, sez. I che ha respinto il ricorso per l'annullamento dell'aggiudicazione di un appalto per la gestione del servizio energia e del servizio manutenzione degli impianti termici ed elettrici di pertinenza dell'amministrazione pubblica che aveva bandito la gara, aggiudicatasi da una società a partecipazione pubblica. All’epoca era in vigore l’art. 13 del c.d. decreto Bersani (oggi abrogato dal Tuspp) in commento in proseguo.

Venivano dunque in questione le disposizioni di legge (all’epoca vigenti)  che prevedono restrizioni alla capacità di azione delle società a partecipazione pubblica beneficiarie di affidamenti diretti di servizi strumentali a favore delle pubbliche amministrazioni di riferimento, nonché le disposizioni di legge che parimenti prevedono limiti di azione per i soggetti beneficiari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali. Questa seconda categoria di norme si riferivano genericamente a tutti gli affidatari diretti (indipendentemente dal loro azionariato), ma è chiaro che -   nei fatti -   finisce per applicarsi alle sole società a partecipazione pubblica, le quali, in forza del previgente ordinamento, potevano (esse e non i soggetti privati) ottenere affidamenti diretti [cfr. art. 22, comma 3°, lett. e) della I. 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche ed integrazioni].

Si tratta, in particolare, dell'art. 13 del d.l. 4 luglio 2006 n. 223 convertito, con modificazioni, in I. 4 agosto 2006 n. 248 e dell'art. 4 comma 33 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011 n. 148.[11]

Tali norme - che si collocavano nell'ambito di un insieme di disposizioni  legislative, in quegli anni, che stabiliscono limitazioni per determinate società a partecipazione pubblica  - intendono creare, al fine di tutelare la concorrenza, una netta distinzione tra chi opera in base ad affidamenti diretti e chi, invece, agisce sul mercato, partecipando a gare ovvero occupandosi di attività liberalizzate (quali, ad esempio, produzione e vendita di energia elettrica e vendita del gas).

La finalità di tali disposizioni è infatti la tutela della concorrenza che potrebbe essere pregiudicata dalla posizione privilegiata di cui godono i soggetti che beneficiano di affidamenti diretti.

Lo scopo delle norme qui da ultimo considerate era quello di evitare una commistione, che potevano  essere pregiudizievole per la concorrenza, tra le società che, essendo state costituite per l'espletamento di una specifica missione a favore delle amministrazioni socie, beneficiano di affidamenti diretti (« organismi dedicati ») e quelle società che, non essendo dedicate allo svolgimento di attività in favore degli enti pubblici soci o della collettività di riferimento, si sottomettono alle gare ed operano nel mercato in parità di condizioni con gli altri operatori («società di mercato»).

La dicotomia è bene illustrata dalla Corte costituzionale la quale, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del d.l. n. 223/2006, afferma che “tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza”. La distinzione tra società «che operano per conto di una pubblica amministrazione» e società di «erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza» è speculare alla differenziata posizione delle società beneficiarie di affidamenti diretti di contro a quella delle società che operano per il mercato e nel mercato. Infatti, la locuzione «attività amministrativa, di natura finale o strumenta/e» può alludere non solo alle società che sono state appositamente costituite per lo svolgimento di «servizi strumentali» (i quali rispondono a meri bisogni interni delle pubbliche amministrazioni) ma anche a quelle che, in forza di una specifica missione a loro affidata, erogano «servizi di interesse generale» per il soddisfacimento dei bisogni della collettività.

Dunque, la dottrina citata ritiene che la Corte costituzionale, impiegando la suindicata locuzione, abbia inteso fare riferimento anche alle società in house aventi come missione istituzionale la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Infatti, una società in house non può essere equiparata alla stregua di un normale soggetto privato - distinto dall'ente pubblico socio -   che svolge attività imprenditoriale, ma ne costituisce una semplice articolazione organizzativa, sostanzialmente equiparabile agli uffici interni dell'ente stesso.

Quando, invece, una società pubblica, perseguendo finalità (commerciali) non direttamente riconducibili a quelle tipiche dell'ente pubblico, opera sul mercato in concorrenza con gli altri operatori economici, allora l'attività esercitata da tale società si configura come una normale attività imprenditoriale al pari di quella svolta da un qualsiasi soggetto privato.

In conclusione, l'art. 13 del d.l. n. 223/2006 poneva misure limitative all'attività di quelle società che sono affidatarie dirette di prestazioni, allo scopo di eliminare alterazioni della concorrenza. Ciò significava, secondo la dottrina citata, che, quando una società, seppur a partecipazione pubblica, ottiene affidamenti solo a seguito di gare oppure opera in un mercato liberalizzato, essa non gode di quei privilegi che sono l'unica giustificazione delle prescrizioni limitative contenute nel citato art. 13.

Diritti speciali e diritti esclusivi: rassegna

 4.1.     L’art. 106 del TUEF

Articolo 106 (ex articolo 86 del TCE)

“1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi.[12]

 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione.”

La norma del trattato disciplina le ipotesi di intervento diretto degli Stati sulla vicenda di imprese pubbliche con l’obiettivo di impedire che l’intervento pubblico nell’economia determini violazioni delle norme del Trattato. Deve rilevarsi che l’intervento pubblico nell’economia non è precluso, ma non deve contrastare con le disposizioni del trattato.

La norma si pone anche l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra libertà e autonomia degli Stati nelle scelte di politica economica-industriale e regime UE del mercato interno e della concorrenza

Si deve rilevare come le imprese titolari di diritti speciali ed esclusivi sono equiparate alle imprese pubbliche e l’attribuzione di diritti speciali/esclusivi porta l’impresa ad avere una posizione dominante sul mercato. Secondo l’art. 106 risulta che non è vietato, di norma, attribuire ad un’impresa il diritto esclusivo allo svolgimento di una certa attività ma è vietato attribuire un diritto esclusivo … "quando l'impresa di cui trattasi è indotta, con il mero esercizio dei diritti esclusivi, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante”.

Si determina una violazione art. 106, par. 1, TFUE quando lo Stato induca l’impresa pubblica ad utilizzare i diritti esclusivi in modo abusivo.[13]

4.2.      Diritti speciali e diritti esclusivi

Si produce una breve rassegna delle diverse nozioni di servizi speciali ed esclusivi presenti nelle diverse disposizioni del ns ordinamento.

4.2.1 La legge 333/2003

Nel D. Lgs. 11 novembre 2003, n. 333 intitolato “Attuazione della direttiva 2000/52/CE, che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche, nonché' alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese.” (entrato in vigore il 12/12/2003), all’art. 2 rubricato “Definizioni” si evidenzia:

d)  "impresa  soggetta all'obbligo di tenere una contabilità  separata,  ogni  impresa che fruisce di diritti speciali o esclusivi riconosciuti  da uno Stato membro a norma dell'articolo 86, paragrafo 1,  del  trattato  o  è  incaricata  della  gestione  di  servizi di interesse  economico  generale a norma dell'articolo 86, paragrafo 2, del  trattato,  che  riceve  compensazioni  in  qualsiasi  forma  per prestazioni  di  servizio  pubblico in relazione a tali servizi e che esercita anche altre attività;

e)  "attività distinte", da un lato, le attività relative ai prodotti o servizi per i quali ad un'impresa sono stati riconosciuti diritti speciali o esclusivi ovvero relative ai servizi di interesse economico generale della cui gestione l'impresa è stata incaricata e, dall'altro, le attività relative a ogni altro prodotto o servizio svolte dall'impresa medesima;

 f)  "diritti esclusivi", i diritti riconosciuti ad un'impresa mediante   qualsiasi   disposizione   legislativa, regolamentare o amministrativa che riserva alla stessa, con riferimento ad una determinata area geografica, la facoltà di prestare un servizio o esercitare un’attività;

 g)  "diritti speciali”, i diritti riconosciuti ad un numero limitato di imprese mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare   o   amministrativa   che, con riferimento ad una determinata area geografica, congiuntamente o disgiuntamente:

1) limita a due o più, senza osservare criteri di oggettività, proporzionalità e non discriminazione, il numero delle imprese autorizzate a prestare un dato servizio o una data attività;

2) designa, senza osservare detti criteri, varie imprese concorrenti come soggetti autorizzati a prestare un dato servizio o esercitare una data attività;

3)  conferisce, senza osservare detti criteri, ad una o più imprese determinati vantaggi, previsti da leggi o regolamenti, che pregiudicano in modo sostanziale la capacità di ogni altra impresa di prestare il medesimo servizio o esercitare la medesima attività nella   stessa   area   geografica   a   condizioni   sostanzialmente equivalenti;”.

4.2.2 L’art. 114 e ss. codice contratti

Al titolo IV regimi particolari di appalto capo I Appalti nei settori speciali – sezione I disposizioni applicabili ed ambito all’art.  114 “Norme applicabili e ambito soggettivo” si evidenzia:

2. Le disposizioni di cui al presente Capo si applicano  agli  enti aggiudicatori  che  sono  amministrazioni  aggiudicatrici  o  imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121; si applicano altresì ai tutti  i  soggetti  che  pur  non essendo   amministrazioni   aggiudicatrici   o   imprese   pubbliche, annoverano tra le loro attività una  o  più  attività  tra  quelle previste dagli articoli da 115 a 121 ed operano in virtu' di  diritti speciali o esclusivi.

 3. Ai fini del presente articolo, per diritti speciali o esclusivi si intendono i diritti concessi dallo Stato o dagli enti locali mediante disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l’effetto di riservare a uno o più enti l'esercizio delle attività previste dagli articoli da 115 a 121 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri enti di esercitare tale attività.

  4. Non costituiscono diritti speciali o esclusivi, ai sensi del comma 3, i diritti concessi in virtu' di una procedura ad evidenza pubblica basata su criteri oggettivi.  A tali fini, oltre alle procedure di cui al presente codice, costituiscono procedure idonee ad escludere la sussistenza di diritti speciali o esclusivi tutte le procedure di cui all’allegato II della direttiva 2014/25/UE del Parlamento e del Consiglio in grado di garantire   un'adeguata trasparenza. “.

Occorre ora soffermarsi sulla nozione di diritto speciale o esclusivo ed effetti sugli obblighi di separazione contabile.

In questo quadro di norme, è opportuno ricordare che il Consiglio di Stato [Adunanza della Commissione speciale 16 marzo 2016 per l'esame dello Schema di Dlgs. recante "Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica" (approvato in prima sede preliminare) e l'espressione del Parere - n. 00968/2016], con riferimento al comma 1, dell'art. 6, del citato Schema, poi rimasto immutato nella versione definitiva, dopo aver messo in evidenza che l'imposizione della separazione contabile di cui al comma 1 dell'art. 6, in luogo di quella societaria, permette di evitare, in linea con il disegno complessivo del Tuspp, la creazione di ulteriori Enti societari, ha formulato specifiche osservazioni in ordine all'applicazione del comma citato.

Innanzitutto, il Parere di cui trattasi ha osservato "che si dovrebbe precisare l'ambito in cui l'attribuzione di un 'diritto speciale o esclusivo 'può far sorgere un dovere di attuazione del principio di separazione. Una definizione di 'diritto speciale o esclusivo' è contenuta nella Direttiva n. 25/2014 [ sulle procedure di appalto degli Enti erogatori nei Settori speciali], ripresa negli schemi degli emanandi Codice dei Contratti pubblici e Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale [ quest'ultimo poi non emanato a seguito della Sentenza della Consulta n. 251/16]: diritto concesso da un 'Autorità competente mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa pubblica, compatibile con i Trattati europei e avente l'effetto di riservare, rispettivamente, a un unico operatore economico (diritto esclusivo) o a due o più operatori economici (diritto speciale) 'l'esercizio di un 'attività e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di esercitare tale attività"'. Una volta riportate tali definizioni di "diritto speciale o esclusivo", il ridetto Parere ha specificato che la "stessa Direttiva [ cioè la n. 25/2014] ... , con una importante novità rispetto al precedente quadro regolatorio, dispone, al fine di escludere l'applicazione delle norme in essa contenute, che 'i diritti concessi in virtù di una procedura in base alla quale è stata assicurata una pubblicità adeguata, e in caso tale concessione si sia basata su criteri oggettivi, non costituiscono diritti speciali o esclusivi"' [Vale precisare che il Dlgs. n. 50/16 (c.d. "Nuovo Codice degli Appalti"), che ha dato attuazione anche alla ridetta Direttiva, su questo punto, nel "Titolo V) - 'Regimi particolari di appalto - Capo I 'Appalti nei Settori speciali' - Sezione I 'Disposizioni applicabili e ambito"', al comma 4, dell'art. 114 [rubricato (Norme applicabili e ambito soggettivo)], ha previsto che "(n)on costituiscono 'diritti speciali o esclusivi', ai sensi del comma 3, i diritti concessi in virtù di una procedura ad evidenza pubblica basata su criteri oggettivi ... ". Laddove il citato comma 3 prevede che, ai fini dell'art. 114, "per 'diritti speciali o esclusivi' si intendono i diritti concessi dallo Stato o dagli Enti Locali mediante disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l'effetto di riservare a uno più Enti l'esercizio delle attività previste dagli artt. da 115 a 121 [ cioè le attività di "Gas ed energia termica", "Elettricità", "Acqua", "Servizi di trasporto", "Porti e aeroporti", "Servizi postali" e "Estrazione di gas e economico generale" che svolge (sempreché la "prestazione di servizi ... è atta ad incidere sensibilmente sugli scambi tra gli Stati membri").

In virtù di quanto sopra, il ridetto Parere ha sottoposto " ... al Governo l'opportunità di chiarire che nei casi in cui tali diritti siano stati riconosciuti secondo modalità tali da assegnare ad essi valenza 'non di privilegio ' il principio di separazione non dovrebbe operare. In questa prospettiva, potrebbero venire in rilievo i casi in cui detti diritti siano attribuiti all'esito di una procedura di gara ovvero quale forma di 'compensazione ' rispetto agli obblighi di 'servizio di interesse economico generale' imposti alla Società pubblica ...  [Inoltre, nel Parere], ... in una prospettiva diversa tesa all'allargamento della nozione, si segnala come l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di separazione si ponga anche nel caso in cui la Società svolga contestualmente attività amministrativa e attività economica. La Corte costituzionale, con la Sentenza n. 236/08, ha affermato che anche in questi casi si debba assicurare il rispetto del principio in esame ... Si potrebbe pertanto aggiungere accanto alle attività indicate anche l 'attività amministrativa”.

Il Governo tuttavia, nella "Relazione illustrativa" al "Testo unico" approvato in secondo esame preliminare dal Consiglio dei Ministri, ha specificato che nel citato Decreto legislativo "non è stata accolta l 'osservazione del Consiglio di Stato in merito alla definizione di diritto speciale o esclusivo e alla conseguente attuazione del principio di separazione, tenuto conto che i “diritti speciali o esclusivi ' sono quelli definiti dal 'Codice Appalti' e dal 'Testo unico sui servizi pubblici locali” [che, come detto, poi non ha visto la luce] e che non si possono escludere i casi di gara o compensazione perché è proprio in queste ipotesi che vengono in rilievo simili diritti.

Parimenti, non sono state accolte le osservazioni, sempre del Consiglio di Stato, in merito alla introduzione dell'attività economica (oltre quella amministrativa) ..., in quanto l'attività d'impresa in regime di mercato è di regola esclusa per le Società a partecipazione pubblica ...".

Alla luce di quanto sopra, ai fini dell'applicazione del Tuspp, antecedentemente alla entrata in vigore della direttiva MEF, si doveva ritenere che valessero le definizioni di "diritto esclusivo" e "diritto speciale" che erano per l'appunto tratte, come indicato nella " Relazione illustrativa" e in quanto coincidenti, "dal 'Codice Appalti' e avrebbero anche coinciso con quanto previsto dal 'Testo unico sui servizi pubblici locali' [tuttavia mai approvato]".

La direttiva Mef ha precisato le relative nozioni come segue

«diritto esclusivo»: il diritto concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa o regolamentare o disposizione amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati, avente l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di esercitare tale attività;

«diritto speciale»: il diritto concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa o regolamentare o disposizione amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l’effetto di riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di esercitare tale attività;

La direttiva del Mef

La Struttura di monitoraggio (“Struttura”) costituita presso il Dipartimento del Tesoro per l’attuazione della riforma del sistema delle partecipazioni pubbliche ha adottato una direttiva sulla separazione contabile[14] (“direttiva”), che definisce le regole per la rendicontazione delle voci economiche e patrimoniali delle società a controllo pubblico che svolgono attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme ad altre attività svolte in regime di economia di mercato, per i bilanci relativi agli esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2019 (fatto salvo quanto previsto dall’art. 15 c. 2 del Tuspp)[15].

Per garantire che non vi siano trasferimenti di risorse dalle attività economiche di interesse generale a quelle svolte in contesti di mercato concorrenziale, le Società a controllo pubblico sono tenute ad adottare e mantenere un sistema di contabilità analitica idoneo a rilevare le poste patrimoniali ed economiche, in maniera separata e distinta, per singole attività economiche e comparti (quello della produzione protetta e quello della produzione in economia di mercato). Esse dovranno anche rendere pubbliche le risultanze relative al comparto della produzione protetta da diritti speciali o esclusivi, contestualmente ai documenti e agli allegati dei bilanci.

Ferma restando l’obbligatorietà della separazione contabile di cui all’art. 6, comma 1, del Tuspp, la direttiva definisce le regole per un sistema di rendicontazione delle voci economiche e patrimoniali, al fine di evitare il trasferimento incrociato di risorse tra attività protette da diritti speciali o esclusivi e attività svolte in regime di economia di mercato.

In via preliminare, nella definizione del citato documento, la Struttura ha preso in considerazione le direttive in materia di separazione contabile adottate da alcune Autorità di regolazione, che – sebbene rispondano ad esigenze di natura regolatoria – potrebbero configurarsi come un significativo precedente.

La direttiva ha tenuto conto anche di quanto previsto dal D.lgs. n. 333/2003, adottato in recepimento della Direttiva 2000/52/CE, e individua espressamente tra le proprie finalità quella di:

- assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese pubbliche mediante idonea documentazione relativa alle assegnazioni di risorse pubbliche a favore delle imprese pubbliche interessate, direttamente o per il tramite di altre imprese pubbliche o di altri enti finanziari; e di documentare l’impiego effettivo di tali risorse pubbliche (art. 1, co. 1, D.lgs. n. 333/2003).

- assicurare, salvo l’applicazione delle specifiche norme comunitarie, che la struttura finanziaria ed organizzativa delle imprese soggette all’obbligo di tenere una contabilità separata risulti correttamente documentata da tale contabilità. Di conseguenza, devono emergere chiaramente: a) i costi e i ricavi relativi alle distinte attività; b) i metodi dettagliati con i quali detti costi e ricavi sono imputati o attribuiti alle distinte attività (art. 1, co. 2, D.lgs. n. 333/2003).

Al di là dei fini contenuti nel D.lgs. n. 333/2003 la disciplina appare differenziata se non in alcuni punti in contrasto con quella contenuta nella direttiva.

La direttiva è composta da 14 articoli.

L’articolo 1 precisa l’ambito di applicazione della direttiva, individuato dall’art. 6, comma 1, del Tuspp, ribadendo come l’adozione di un sistema di separazione contabile rappresenti una deroga all’obbligo di separazione societaria di cui all’art. 8, comma 2-bis, della Legge n. 287/1990. L’imposizione della separazione contabile e non strutturale risiede, infatti, nella volontà di evitare la creazione di ulteriori società, in coerenza con l’impostazione complessiva del Tuspp.

L’articolo 2 individua le definizioni utili all’applicazione della direttiva, in coerenza con i principi desumibili dalla normativa nazionale e comunitaria.

L’articolo 3 enuncia la finalità della direttiva di cui trattasi.

L’articolo 4 individua i criteri attraverso cui la società individua la struttura della propria contabilità separata, da costruirsi individuando:

a) le singole attività in cui il processo produttivo può essere frazionato in una logica di impresa separata;

b) per ciascuna attività di cui alla precedente lettera a), distinguendo i comparti caratterizzati da una produzione protetta da diritti speciali o esclusivi dai comparti legati a produzioni effettuate secondo criteri di mercato.

L’articolo 5 individua elenchi di servizi comuni e di funzioni operative condivise di cui all’articolo 2, comma 1, della medesima direttiva.

L’articolo 6 prevede la pubblicazione delle risultanze della contabilità separata relative a ciascun comparto protetto da diritti speciali o esclusivi, contestualmente ai documenti e agli allegati di bilancio.

Gli articoli dal 7 all’11 della direttiva forniscono alcune indicazioni utili alla compilazione dei conti annuali separati che le società devono predisporre, dando conto anche dell’eventuale procedura di riclassificazione delle voci del bilancio di esercizio redatto in applicazione dei principi contabili internazionali. Tali conti separati sono sottoposti al giudizio di conformità da parte del soggetto incaricato della revisione legale dei conti. In particolare:

- l’articolo 7 indica i criteri per l’imputazione delle voci economiche e patrimoniali del bilancio alle singole attività;

- l’articolo 8 individua i documenti di contabilità separata che la società deve predisporre e che saranno sottoposti al giudizio di conformità da parte del soggetto incaricato della revisione legale dei conti;

- l’articolo 9 definisce i criteri di valorizzazione delle eventuali transazioni interne tra i singoli servizi comuni e tra le singole funzioni operative condivise nell’ambito dello stesso soggetto;

- l’articolo 10 concerne l’attribuzione dei costi e dei ricavi delle singole funzioni operative condivise e dei singoli servizi comuni;

- l’articolo 11 disciplina la valorizzazione delle transazioni interne tra attività nell’ambito dello stesso soggetto.

L’articolo 12 richiama gli elementi essenziali che la nota di commento ai conti annuali separati deve contenere, mentre l’articolo 13 definisce il contenuto dell’analisi che deve effettuare il soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

L’articolo 14 stabilisce l’applicazione della direttiva a partire dai bilanci d’esercizio 2020.

Dicotomie interpretative fra direttiva Mef e d.lgs. 333

Le disposizioni vigenti in materia di separazione contabili pongono alcuni problemi irrisolti.

Va rilevato che alle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni dell’art. 6 comma 1 e quindi la direttiva Mef e non dunque le disposizioni D.lgs. n. 333/2003 mentre per la società non a controllo pubblico dovrebbe residuare loro la soggezione alle disposizioni di cui al predetto D.lgs. n. 333/2003. Tuttavia, non è così: alle società non a controllo pubblico invece non si applica la deroga all’art. 8 comma 2 bis citato, e quindi saranno obbligate alla separazione societaria, ricorrendo le condizioni della norma.

La distinzione fra società a controllo pubblico – la cui disciplina risiede nel combinato disposto delle lett. b) ed m) del comma 1 dell’art. 2 ( “definizioni”) del Tuspp – e le società non a controllo pubblico – vale a dire semplice partecipazione pubblica –, come già detto trascende dal presente lavoro e per tale delicato argomento si rimanda agli autori che si sono sperimentati a trarre alcune conclusioni sull’argomento[16], tenendo presente il recentissimo arresto del Tar Emilia Romagna sez. I, 28/12/2020 n. 858 che ha confermato che per aversi controllo pubblico congiunto è necessario un patto parasociale, non essendo sufficiente la somma delle partecipazioni detenute dalle singole pubbliche amministrazioni socie.

Ciò che appare una distonia non giustificabile è la sussistenza di due regimi diversi che presentano sostanziali differenze, nonché la disposizione dell’art. 8 Antitrust che rende ancor più complessa l’interpretazione del metodo di unbundling che, nel nostro ordinamento, spazia dalla separazione contabile a quella societaria, attraverso non chiare rappresentazioni delle diverse fattispecie.

La genesi della Direttiva Mef parte dalla competenza attribuita, alla Struttura competente per il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del Tuspp, così come individuata dal Mef ai sensi dell'art. 15, comma 1, dello stesso Decreto legislativo, alla quale è affidato (anche) il compito di fornire orientamenti e indicazioni in materia di applicazione delle disposizioni del Tuspp e del Dlgs. n. 333/03 (recante "Attuazione della Direttiva 2000/52/CE, che modifica la Direttiva 80/723/Cee relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche, nonché alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese"), nonché promuovere le migliori pratiche presso le Società a partecipazione pubblica e adottare nei confronti delle stesse Società le direttive sulla separazione contabile e verificare il loro rispetto, ivi compresa la relativa trasparenza.

Va evidenziato che, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. d), del Dlgs. n. 333/03, le imprese (pubbliche o private) sono obbligate a tenere una contabilità separata nel caso fruiscano "di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro a norma dell'art. 86, paragrafo 1, del Trattato", oppure siano incaricate "della gestione di 'servizi di interesse economico generale' a norma dell'art. 86, paragrafo 2, del Trattato", ed esercitino "anche altre attività"; tutto ciò purché risulti presente anche la seguente ulteriore condizione: le stesse imprese devono ricevere "compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi".[17]

Inoltre, fermo restando che gli obblighi relativi alla contabilità separata di cui agli artt. 6 e 7, comma 2, del Dlgs. n. 333/03, comunque non si applicano alle imprese:

"a) ... la cui prestazione di servizi non è atta ad incidere sensibilmente sugli scambi tra gli Stati membri;

b) ... il cui fatturato netto totale annuo è stato inferiore a 40 milioni di euro negli ultimi 2 esercizi finanziari precedenti l'esercizio in cui fruiscono di un diritto speciale o esclusivo riconosciuto ai sensi dell'art. 86, paragrafo 1, del Trattato Ce, o in cui sono incaricate della gestione di un 'servizio di interesse economico generale' ai sensi dell'art. 86, paragrafo 2, del trattato Ce ...;

c) ... che sono state incaricate della gestione di 'servizi d'interesse economico generale' a norma dell'art. 86, paragrafo 2, del Trattato Ce se gli aiuti di Stato che ricevono in qualsivoglia forma, sia contributi, sia sussidi, sia indennizzi, sono stati fissati per un periodo appropriato con una procedura pubblica, trasparente e non discriminatoria" (art. 9, comma 2, dello stesso Decreto).

Pertanto, emerge una significativa differenza fra le due discipline: infatti la disciplina sulla separazione contabile ex Dlgs. n. 333/03, per le Società a controllo pubblico che non ne sono escluse per limiti di fatturato o per l'esercizio di prestazione di servizi non incidenti in modo sensibile sul mercato:

-          da un lato, è più rigida di quella di cui al Tuspp, perché va applicata in presenza di qualunque attività "aggiuntiva" (e non si aziona dunque solo in caso di "altre attività svolte in regime di economia di mercato");

-          dall'altro, è meno stringente rispetto allo stesso Tuspp, poiché non trova applicazione se nella fruizione di diritti speciali o esclusivi, o nella gestione di Servizi di interesse economico generale, non si ricevono compensazioni, oppure (limitatamente alla gestione di Servizi di interesse economico generale) tali compensazioni vengono percepite per un arco di tempo determinato fissato per il tramite di "procedura pubblica trasparente e non discriminatoria".

Ancora, una evidente discrasia fra le due discipline ricorre nel caso in cui la società a controllo pubblico, che svolge attività in economia di mercato e in virtù di diritti esclusivi o speciali deve tenere la contabilità separata anche se tali attività siano state assegnate a seguiti di gara pubblica. È evidente il contrasto con la disposizione contenuta nell’art. 114 comma del codice dei contratti gli obblighi di separazione contabile secondo la Direttiva MEF. Sul punto, tuttavia, dubbi non sussistono vista la anche chiara presa di posizione del parere del consiglio di Stato al Tuspp[18]. Infatti, l’obbligo di separazione contabile secondo la Direttiva Mef sussiste senza limiti di importo del valore dell’attività svolta in economia di mercato, come diversamente avviene nella disciplina contenuta nel d.lgs. 333 delle soglie di valore a indipendentemente dal valore economico dell’attività svolta in regime di economia di mercato.

I servizi pubblici locali ed i servizi strumentali come esercizio di diritti speciali o esclusivi: aspetti operativi

Secondo le disposizioni del Tuspp le attività svolte dalle società a partecipazione pubblica che possono rilevare quali diritti speciali ed esclusi si riconducono:

-          Gestione di servizi pubblici locali (servizi di interesse economico generale) che trovano all’art. 2 le seguenti definizioni:

h) «servizi di interesse generale»: le attività  di  produzione  e fornitura di beni o servizi che  non  sarebbero  svolte  dal  mercato senza  un  intervento  pubblico  o  sarebbero  svolte  a  condizioni differenti  in  termini  di  accessibilità  fisica   ed   economica, continuità,  non  discriminazione,  qualità  e  sicurezza,  che  le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle  rispettive  competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei  bisogni della collettività di riferimento, così da garantire  l'omogeneità  dello sviluppo e la  coesione  sociale,  ivi  inclusi  i  servizi  di interesse economico generale;

i) «servizi di interesse economico generale»: i servizi   di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato;

Per tali tipologie di servizi le pubbliche amministrazioni possono detenere partecipazione in società che svolgono le attività indicate all’art. 4 comma 2 lett. a) “a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi”.

-          Gestione di servizi strumentali

Per tale tipologia di servizi (c.d. strumentali) le pubbliche amministrazioni possono detenere partecipazione in società che svolgono “autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento.

Semplificando il ragionamento si può sostenere che i servizi di dominio degli enti locali che danno luogo a diritti speciali esclusivi sono:

  • Gestione rifiuti urbani
  • Servizio Idrico Integrato
  • Illuminazione pubblica
  • Gestione della sosta
  • Servizi cimiteriali
  • Distribuzione gas naturale
  • Distribuzione energia elettrica
  • Trasporto pubblico
  • Riscossione tributi

L’analisi specifica dovrà considerare la concomitanza della gestione unita a servizi in economia di mercato, dalla quale sorge, come meglio infra precisato, l’esigenza di tenere la contabilità separata.

Come pure i singoli servizi, che possono qualificarsi come in regime di diritti esclusivi o speciali, per i quali andrà valutata la filiera della integrazione verticale, laddove alcune attività potrebbe essere qualificate come in economia di mercato: è il caso del segmento finale dell’attività di recupero dei rifiuti tramite la gestione di impianti che producono “compost” o “biogas”, i quale vengono venduti su un mercato tendenzialmente libero. In questo caso si avrebbe un’attività (la gestione dei rifiuti) classificabile come diritto esclusivo con uno o due comparti che svolgono attività in economia di mercato.

Parimenti considerare alcune attività che sono svolte dalle società a partecipazione pubblica non in virtù di una concessione o di un appalto stipulato con l’ente locale socio, bensì in virtù di quanto previsto nel proprio oggetto sociale o oggetto sociale. È il caso delle società delle reti che furono costituite, ai sensi dell’art. 113 comma 13 del Tuel, per detenere la proprietà delle reti (anche dell’acquedotto) degli impianti e dotazioni patrimoniali per svolgere il compito del proprietario dominicale. Anche in questo caso si tratta di diritti esclusivi che danno luogo ad un uso vincolato del bene in quanto la società delle reti è obbligata a mettere a disposizione detti asset a favore di un gestore e alle condizioni economica previste da un terzo: l’ente gestore dell’ambito.  

 

Sotto il profilo operativo.

Deve rilevarsi come la disciplina della separazione contabile prevista dalla direttiva Mef, in attuazione dell’art. 6 comma 1 del Tuspp, si applica alle sole società a controllo pubblico che esercitano attività che beneficiano di diritti speciali o esclusivi unitamente a attività in economia di mercato. Per società a controllo pubblico si intendono, come già esposto in precedenza, “esclusivamente” le società che ricadono nel combinato disposto delle lett. b) ed m) del comma 1 dell’art. 2 del Tuspp.

Non si applica la disciplina della separazione contabile, prevista dalla direttiva Mef, anche qualora esercitino attività che beneficiano di diritti speciali o esclusivi unitamente ad attività in economia di mercato, le società: (i) a prevalente capitale privato; (ii) le società a capitale misto pubblico privato nelle quali i soci pubbliche amministrazioni non soddisfano le condizioni di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) ed m) del Tuspp. Aspetto problematico riguarda le società in house pluri partecipate, in quanto non si può escludere, per quanto paradossale possa sembrare, che vi siano società in house partecipate da pubbliche amministrazioni che non soddisfano le condizioni di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) ed m) del Tuspp.

Per le società a partecipazione pubblica e non a controllo pubblico rimane fermo l’obbligo – se non escluse per altro motivo – di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell’articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (cd Legge Antitrust).

Secondo l’interpretazione della direttiva Mef risulta del tutto irrilevante il fatto che l’attività svolta in regime di economia di mercato sia contigua a quella protetta, eventualmente svolta utilizzando le medesime risorse o asset, oppure sia nettamente distinta da quella per natura, per risorse utilizzate, per territorio o per altri motivi. Pertanto, la società a controllo pubblico che svolga attività in regime di economia di mercato e attività protetta da diritti esclusivi deve tenere la contabilità separata indipendentemente dalla natura della prima e della seconda.

Rimane fermo l’obbligo della separazione contabile, ai sensi della direttiva Mef, anche nel caso in cui il servizio diverso da quello protetto da diritti esclusivi sia svolto soltanto in favore di altre società del gruppo, senza essere offerto sul mercato. Non rilevano le operazioni intercompany quale causa di esenzione. Non soltanto non è prevista alcuna mutua esclusione tra i due obblighi di separazione contabile, ma questi presentano significative differenze soprattutto in termini di finalità e di obblighi di pubblicità, per cui non esistono presupposti in base ai quali l’adempimento di uno dei due obblighi sia sufficiente a soddisfare o escludere l’altro obbligo

Dubbia appare invece la tesi interpretativa in base alla quale sussiste l’obbligo di tenuta della contabilità separata, secondo la direttiva Mef, indipendentemente dal fatto che la società sia già soggetta alle specifiche norme di separazione contabile di settore.[19] I metodi di unbundling previsti dalla autorità di regolazione (in primis ARERA) si basano su tecniche più precise di quanto previsto dalla direttiva Mef e quindi dovrebbero garantire anche risultati più attendibili.

Aspetto non chiarito dalla direttiva Mef è lo strumento informativo attraverso il quale rendere pubblici i dati delle attività che godono di diritti speciali o esclusivi.

Nel silenzio riscontrato, si ritiene che la miglior soluzione sia la rappresentazione nella Relazione sul governo societario, anch’essa prevista per la società a controllo pubblico dall’art. 6 del Tuspp, che deve essere “pubblicata”, potendo trovare posto quest’ultima, secondo orientamento del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti, anche nella Relazione sulla gestione.

I controlli

I conti annuali separati sono sottoposti a revisione legale dei conti da parte dello stesso soggetto cui è affidata la revisione legale del bilancio di esercizio, il quale rilascerà una relazione recante il giudizio di conformità dei conti annuali separati alla Direttiva MEF ed ai criteri descritti nelle note di commento evidenziando eventuali modifiche al giudizio e/o richiami di informativa.

Inoltre, l’attività di vigilanza sul rispetto della direttiva sulla separazione contabile è espressamente affidata alla Struttura per il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del Tuspp, istituita con DM 16/05/17 secondo quanto preordinato dall’art. 15, comma 1 del Tuspp e dotata dei medesimi poteri ispettivi che competono alla Ragioneria generale dello Stato e che sono esercitati nei confronti di tutte le società a partecipazione pubblica.

Va rilevato che si approssima il termine per l’adozione della contabilità separata secondo la direttiva Mef: termine stabilito per l’approvazione del bilancio 2020. Ciò in quanto la Direttiva MEF si applica a partire dal bilancio dell’esercizio 2020 (art. 14) e prevede che le società rendano pubbliche alcune parti dei loro conti annuali separati contestualmente ai documenti e agli allegati dei bilanci.

 

Le società multiutilities

La liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità e la privatizzazione dei soggetti gestori hanno determinato il sopravvenire di due importanti scenari evolutivi, tra loro strettamente collegati. Il primo è l'attrazione nella sfera del diritto privato di ampie aree economiche prima assoggettate a riserva pubblica. Il secondo è l'affermazione di un nuovo modello societario, teso sempre più a sviluppare strategie multiutility. La regolazione giuridica di questi fenomeni si sviluppa su modelli affatto frammentati, che richiedono un'attenta ricostruzione volta ad orientare l'attività degli interpreti, degli organi giudiziari, ma, soprattutto, degli stessi operatori economici. Il fenomeno multiutility non è, di per sè, una fattispecie anticompetitiva. Come recentemente segnalato dall'Autorità antitrust "in linea generale, le espansioni delle imprese dai settori di origine verso attività complementari possono comportare potenzialità positive per lo sviluppo di alcuni mercati e per le esigenze dei consumatori. L'Autorità ritiene pertanto che tali sviluppi non siano da vietare di per sé, ma vadano piuttosto resi compatibili con i principi della concorrenza".

 

Le società multiutilites dovranno quindi esaminare le proprie attività classandole se riferite a servizi protetti da servizi esclusivi o speciali ovvero in economia di mercato.

Qualora sussistano attività che godono di diritti esclusivi o speciali, unitamente ad i servizi in economia di mercato allora risulterà necessario tenere la contabilità separata secondo la direttiva Mef e rendere pubblici i risultati delle sole attività che godono di diritti speciali ed esclusivi.

 

Le holding di partecipazioni degli enti locali

Le holding di partecipazioni degli enti locali sono previste dall’art. 4 comma 5, ultimo periodo del Tuspp[20].

La unicità dell’oggetto sociale, previsto per le società holding degli enti locali, va inteso, non come unica attività da svolgere, bensì come vincolo a svolgere solo le attività che gli enti locali soci hanno indicato nell’oggetto sociale in quanto ritenute tali da perseguire le finalità istituzionali dell’ente, così come prevede l’art. 4 comma 1 e 2 del Tuspp.

L’attività di detenzione di partecipazione non è di per sé una attività che può essere classificata come attività che gode di servizi speciali o esclusivi. Non pare neppure applicabile in questa sede la teoria che considera la holding come una gestione mediata delle attività svolge a valle dalle partecipate/controllate.

Non rileva dunque l’obbligo di tenuta della contabilità separata, prevista dalla direttiva Mef.

Ciò non toglie che si registrano diversi statuti di holding che prevedono la separazione contabile.

In questo caso l’obbligo si riduce in una analitica esposizione delle grandezze economico/patrimoniale che producono nel bilancio della holding le partecipate (es. proventi da partecipazioni, ecc.)

 

Le società a controllo pubblico quotate[21]

Il “Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica” (in appresso “Testo Unico”) introduce una specifica disciplina per le Società quotate partecipate da Pubbliche Amministrazioni e per quelle quotande, denotando una specifica attenzione al tema e definendo tali Società nel più ampio fenomeno delle partecipazioni pubbliche come una sorta di “terzo genere”.

Infatti, il “Testo Unico” ha classificato le Società in:

Le società quotate sono di per sé considerate un tipo sociale che di discosta dalle regole del cod. civ., così come dispone l’art. 2325 bis del cod. civ. ed al pari le società pubblica a loro volta hanno una disciplina che deroga anch’essa al cod. civ., se previsto dal “Testo Unico”.[22]

Il legislatore è dunque intervenuto per inquadrare la società a partecipazione pubblica quotate o quotande, conscio che, in assenza del proprio intervento, non fosse immediata la ricostruzione di una disciplina unitaria.

Tra i principi fissati dalla Legge delega 7 agosto 2015, n. 124, vi è la distinzione tra vari “tipi” di società, in relazione tra l’altro alla quotazione in borsa delle azioni o altri strumenti finanziari dalle stesse emessi. La medesima disposizione stabilisce inoltre che la disciplina sia differenziata in ragione del “tipo” societario considerato, enunciando specificatamente il “principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica” (art. 18, comma 10, lett. a, L. 124/2015).

Di conseguenza, in ossequio alle direttive della Legge delega, il “Testo Unico” prende espressamente in considerazione la fattispecie delle società pubbliche quotate e delinea la disciplina loro riservata.

L’impostazione di fondo consiste nel distinguere le società quotate rispetto alle società pubbliche, escludendo le prime dall’applicazione della disciplina societaria speciale prevista per le seconde dal Tuspp e limitando l’area di intervento essenzialmente alle norme che si occupano delle modalità con cui le Pubbliche Amministrazioni gestiscono le partecipazioni societarie dalle stesse detenute, incluso l’accesso alla quotazione[23].

La ricostruzione della disciplina dovrà considerare:

- il regime transitorio ed il favor per la quotazione delle società a partecipazione pubblica;

- le disposizioni del Tuspp che non si applicano alle società a partecipazione pubblica quotate;

- le disposizioni del Tuspp che impongono obblighi in capo ai soci Pubbliche Amministrazione per la “governance” dei propri diritti di azionista di società quotata;

- le disposizioni previgenti al Tuspp applicabili alle società a partecipazione pubblica quotate

L’art. 2, comma 1,  del Tuspp stabilisce:

-          lett. p): “«società quotate»: le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati”;

-          lett. f) «partecipazione»: la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi;

Non si rintraccia una definizione di strumenti finanziari né una elencazione dei diritti amministrativi che devono essere attribuiti per ricadere nella previsione di legge. Non può che soccorre l’art. 1 comma 6 bis del “T.U.F” che comprende nelle partecipazioni gli strumenti finanziari, diversi da azioni o quote, che attribuiscono diritti amministrativi o comunque quelli previsti dall’art. 2351 ultimo comma del cod. civ.

Solo la Relazione Illustrativa del testo governativo elenca i diritti spettanti individuandoli nel diritto di voto o nomina di un membro del consiglio di amministrazione o del collegio di sorveglianza o del collegio sindacale.

Di conseguenza, sono “società quotate” le società a partecipazione pubblica che, alternativamente o cumulativamente: i) emettono azioni quotate in mercati regolamentati; ii) abbiano emesso, entro il 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.

Sulla base delle disposizioni del Tuspp l’art. 6 non contempla le società quotate partecipate dalle pubbliche amministrazioni e pertanto ad esse non si applica la disciplina sulla contabilità separata prevista dalla direttiva del Mef.

In conclusione, le società a partecipazione pubblica quotate e le loro controllate non sono obbligate alla tenuta della contabilità separata secondi la direttiva Mef.

 

 

 



[1] Cfr. F. Guerrera commento art. 6 del Tuspp in Codice delle società a partecipazione pubblica a cura di G. Morbidelli Giuffré Milano 2018

[2] AGCM - BOLLETTINO N. 7 DEL 18 FEBBRAIO 2019 -AS1563 - SCHEMA DI DIRETTIVA SULLA SEPARAZIONE CONTABILE PREDISPOSTA AI SENSI DELL’ART. 15 COMMA 2 DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 175/2016  -  Roma, 12 luglio 2018 - Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro Direzione VIII – Valorizzazione dell’attivo e del patrimonio pubblico

Con riferimento alla richiesta di parere in merito allo schema di direttiva sulla separazione contabile predisposta ai sensi dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 175/16, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella sua riunione del 5 luglio 2018, ha inteso svolgere le seguenti considerazioni, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 287/90. Come è noto, nell’ambito della riforma del settore delle società a partecipazione pubblica, attuata con il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, c.d. Tuspp), è stato previsto, all’art. 6, comma 1, un obbligo di separazione contabile per le società soggette a controllo pubblico che svolgono attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi insieme ad altre attività svolte in regime di economia di mercato. La norma deroga espressamente a quanto previsto dall’art. 8, comma 2-bis, della legge n. 287/90, in base al quale le imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi, devono operare mediante società separate. La ratio dell’obbligo di separazione societaria, introdotto dall’art. 11 della legge n. 57/01 – che ha novellato sul punto l’art. 8 della legge n. 287/90 – consiste infatti nell’avvertita necessità, a tutela della concorrenza, di operare una divisione più netta (attraverso un intervento di carattere organizzativo strutturale) tra le attività in convenzione soggette a obblighi di servizio pubblico e le altre attività svolte in concorrenza, in cui operano o possono potenzialmente operare una pluralità di imprese. Il legislatore, valutando insufficiente il vincolo della sola separazione contabile, ha introdotto dunque un’ulteriore misura pro-concorrenziale di portata generale e applicabile a tutti i settori economici, che integra le normative settoriali, al fine di evitare il fenomeno dei c.d. sussidi incrociati, che consentirebbe all’impresa affidataria di diritti speciali o esclusivi di sfruttare i vantaggi derivanti da tali situazioni di privilegio in un mercato diverso, in cui essa opera in regime concorrenziale con altri operatori economici. La previsione dell’obbligo di separazione societaria assolve dunque a finalità di tutela della concorrenza, cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella costituzione economica, riportando in una posizione di parità le imprese che competono o possono competere in un dato mercato.

Al contrario, il modello della separazione contabile è ritenuto dall’Autorità meno incisivo rispetto alla separazione strutturale.

Preliminarmente, dunque, si rileva che l’Autorità è intervenuta in diverse occasioni per rappresentare come il modello di separazione societaria sia, anche per le società a partecipazione pubblica, il più idoneo ed efficace allo scopo di prevenire comportamenti anti-competitivi delle imprese pubbliche che svolgono attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi e che sono altresì attive in mercati diversi aperti alla libera concorrenza. Occorre poi ribadire che l’introduzione dell’art. 6 del Tuspp ha generato un’evidente disparità di trattamento tra le imprese soggette a controllo pubblico e le imprese private. Alle imprese private continua, infatti, ad applicarsi quanto previsto dall’art. 8, comma 2-bis, della legge n. 287/90, mentre alle imprese pubbliche si applica il più blando obbligo di separazione contabile. Tale disparità si traduce in una violazione del principio di promozione e tutela della concorrenza, che postula una parità di trattamento tra imprese pubbliche e imprese private, ai sensi dell’art. 106 TFUE. Tanto premesso, considerata la funzione attribuita alla Direzione VIII del MEF che, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Tuspp, è tenuta ad adottare specifiche direttive sulla separazione contabile e a verificarne la corretta applicazione da parte delle società pubbliche, l’Autorità ritiene opportuno fornire alcune osservazioni sullo schema di direttiva sulla separazione contabile, oggetto della presente richiesta di parere. Occorre richiamare in proposito i principi generali introdotti nel corso degli anni in ambito comunitario e nelle legislazioni speciali (come quelle relative alle comunicazioni elettroniche e all’energia), volti a garantire massima trasparenza e non discriminazione nell’adozione di sistemi di contabilità separata. Principio cardine della separazione contabile è che siano chiaramente definite le attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi e quelle svolte in regime concorrenziale e che vengano seguiti criteri equi, obiettivi e trasparenti nell’imputare le singole poste patrimoniali ed economiche ad ogni servizio offerto, con l’individuazione di specifiche modalità tecnico-operative per la valorizzazione del sistema di contabilità separata. Ciò al fine di consentire che il sistema contabile contenga informazioni affidabili e di dettaglio e permetta di verificare l’esistenza di eventuali comportamenti anti-competitivi delle imprese pubbliche. Un’applicazione corretta ed efficace delle regole di concorrenza richiede infatti una conoscenza approfondita delle strutture finanziarie e organizzative delle imprese: le relazioni finanziarie tra autorità pubbliche, imprese pubbliche e altre imprese devono essere trasparenti e gli interventi comunitari in tal senso sono stati numerosi e tutti verso la medesima direzione. In ambito nazionale, il d.lgs. 11 novembre 2003, n. 333  individua espressamente, tra le proprie finalità, quella di assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese pubbliche e assicura che la struttura finanziaria ed organizzativa delle imprese soggette all’obbligo di tenere una contabilità separata risulti correttamente documentata, in modo che emergano chiaramente i costi e i ricavi relativi alle distinte attività e i metodi dettagliati con i quali detti costi e ricavi sono imputati o attribuiti alle distinte attività. Si ritiene, pertanto, che lo schema di direttiva sulla separazione contabile predisposta dal MEF ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Tuspp, dovrebbe essere improntato al principio della massima trasparenza e chiarezza circa le poste patrimoniali ed economiche relative alle singole attività svolte dalla società a partecipazione pubblica e a tal fine si ritiene opportuno: (i) individuare precisi schemi di contabilità analitica obbligatori, prevedendo che la società pubblica predisponga scritture contabili separate e dettagliate che rendano trasparenti tutte le poste patrimoniali ed economiche distinte per ciascun servizio fornito, secondo voci predefinite, distinguendo tra le attività svolte nei mercati in cui la società opera quale destinataria di diritti esclusivi o speciali e quelle offerte nei mercati soggetti alla libera concorrenza e fornendo eventualmente un rendiconto relativo a ciascun mercato; (ii) identificare dettagliatamente i c.d. servizi comuni (così da consentire l’imputazione dei relativi costi), che allo stato non sono definiti (p.e. approvvigionamenti e acquisti, trasporti e autoparco, logistica e magazzini, servizi immobiliari e facility management, servizi informatici, ricerca e sviluppo, servizi di telecomunicazione, servizi amministrativi e finanziari, organi legali e societari, servizi del personale e delle risorse umane, ecc.), nonché le funzioni operative condivise (p.e. funzione operativa commerciale, di vendita e gestione clientela nei singoli settori). Ciò allo scopo di evitare sovrapposizioni che potrebbero determinare scarsa chiarezza e trasparenza in merito alle voci comuni alle differenti attività svolte dalla società pubblica nei diversi mercati e/o comparti in cui opera; (iii) per venire incontro alle rappresentate esigenze di evitare un eccessivo aggravio informativo ed economico in capo alle società a partecipazione pubblica, si potrebbe semmai prevedere un regime ordinario e un regime semplificato di contabilità separata, definendo i criteri e le, per cui un’impresa può usufruire dell’uno o dell’altro sistema.

 

[3] Cfr. definizione di unbundling e bundling rintracciabili sui siti specializzati

[4] Cfr. infra

[5] Il paragrafo è tratto da “Il ruolo della trasparenza in materia di aiuti di Stato” di Benedetta Biancardi - Saggi da Aperto – Archivio Istituzionale Open access dell’Università di Torino 

[6] Articolo 107 TFUE

1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera.

3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.

 

[7] Peraltro, alcune recenti pronunce del giudice amministrativo hanno confermato la centralità che l'obbligo di separazione contabile riveste, ai fini della qualificazione o meno di un determinato schema come aiuto di stato illegittimo. La dottrina citata, in particolare, come esempio positivo di applicazione delle regole in materia di separazione contabile, fa riferimento al caso Cineca, in cui il Consiglio di Stato ha ribadito che, anche laddove un soggetto sia qualificabile operatore in-house (cosa peraltro esclusa nel caso in esame) questi è comunque sottoposto al rispetto degli obblighi di trasparenza e separazione contabile, così come al rispetto dei requisiti Altmark. Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che tali obblighi e requisiti non fossero rispettati e che, viceversa, il finanziamento ricevuto (i) costituisse un aiuto di Stato, in quanto integrante tutti i requisiti ai sensi dell'art. 107, comma 1, TFUE e (ii) che tale aiuto fosse illegale, in quanto non previamente notificato, ex art. 108, comma 3, TFUE.

[8] Art. 8 della legge 287/1990: “Art. 8. (Imprese pubbliche e in monopolio legale): 1. Le disposizioni contenute nei precedenti articoli si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale.  2. Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati.  2-bis. Le imprese di cui al comma 2, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2, operano mediante società separate.   2-ter. La costituzione di società e l'acquisizione di posizioni di controllo in società operanti nei mercati diversi di cui al comma 2-bis sono soggette a preventiva comunicazione all’Autorità.   2-quater. Al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica, qualora le imprese di cui al comma 2 rendano disponibili a società da esse partecipate o controllate nei mercati diversi di cui al comma di-bis beni o servizi, anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte ai sensi del medesimo comma 2, esse sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti.  2-quinquies. Nei casi di cui ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, l’Autorità esercita i poteri di cui all’articolo 14.  Nei casi di accertata infrazione agli articoli 2 e 3, le imprese sono soggette alle disposizioni e alle sanzioni di cui all'articolo 15.   2-sexies. In caso di violazione degli obblighi di comunicazione di cui al comma 2-ter, l’Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino a lire 100 milioni.

 

 

 

[9] Cfr. infra.

[10] M. Calcagnile “Il paragrafo è tratto da Principi e norme amministrative sui limiti di azione delle società a partecipazione pubblica locale” in Foro amm. Tar Fasc. 11, 2012 p. 3713

[11]  D.L. 4/07/2006 n. 223 - Art. 13 “Norme per la riduzione dei costi degli apparati       pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza

1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del  mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a   capitale   interamente   pubblico   o   misto,  costituite  dalle  amministrazioni  pubbliche  regionali  e  locali per la produzione di beni  e  servizi strumentali all’attività di tali enti, nonché', nei casi  consentiti  dalla  legge,  per lo svolgimento esternalizzato di funzioni   amministrative   di   loro   competenza,  debbono  operare esclusivamente  con  gli  enti  costituenti ed affidanti, non possono svolgere  prestazioni  a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.

  2.  Le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

  3.   Al   fine   di   assicurare l’effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite.  A tale fine possono cedere le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul mercato, secondo le procedure del decreto-legge 31 maggio 1994, n.  332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori dodici mesi.

  4.  I contratti conclusi in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli.

 

[12] Art. 18 TFUE = divieto di discriminazione in base alla nazionalità; artt. 101-109 TFUE = norme in materia di concorrenza

 

[13] Corte Giust. UE sent. Raso, 12 febbraio 1998, causa C-163/96).

[14] Ai sensi dell’art. 15, comma 2, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, che le società di cui all’art. 6, comma 1, del medesimo decreto, sono tenute ad applicare in deroga all’obbligo di separazione societaria, di cui all’art. 8, comma 2-bis, della legge 10 ottobre 1990, n. 287

[15] Art. 15 c.2: Fatte salve le norme di settore e le competenze dalle stesse previste, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente decreto, la struttura di cui al comma 1 fornisce orientamenti e indicazioni in materia di applicazione del presente decreto e del decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333, e promuove le migliori pratiche presso le società a partecipazione pubblica, adotta nei confronti delle stesse società le direttive sulla separazione contabile e verifica il loro rispetto, ivi compresa la relativa trasparenza.

[16] Ci si permette riferirsi a R. Camporesi: “Controllo pubblico congiunto: occorre un atto scritto fra le pubbliche amministrazioni” (www.public-utilities.it 4/1/2021); R. Camporesi: “Evoluzione storica della nozione di controllo pubblico nel Testo Unico”, (www.public-utilities.it 20/12/2019)

[17] Paragrafo tratto da I. Bonitatibus “servizio di igiene urbana: si tratta di un’attività oggetto di diritti esclusivi per la quale è richiesta una contabilità separata” in www.entilocali – on line

[18] Cfr. infra

[19] Tale orientamento si poggia sulla considerazione in base alla quale le due disposizioni sono indipendenti l’una dall’altra, rispondono a finalità diverse, sono emanate da autorità distinte, comportano adempimenti caratterizzati da un diverso termine e da obblighi di comunicazione differenti, nonostante presentino una struttura molto simile, a tratti identica, per cui è logico che vi sia coerenza tra i conti annuali separati prodotti in adempimento dell’una e dell’altra norma.

 

[20] 5. Fatte salve le diverse previsioni di legge regionali adottate nell'esercizio   della   potestà   legislativa   in    materia    di organizzazione amministrativa, è fatto divieto alle società di cui al comma 2, lettera d), controllate da enti locali, di costituire nuove società e di acquisire nuove partecipazioni in società.  Il divieto non si applica alle società che hanno come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali, salvo il rispetto degli obblighi previsti in materia di trasparenza dei dati finanziari e di consolidamento del bilancio degli enti partecipanti. 

[21] Per la disamina della disciplina delle società pubbliche quotate si veda, R Camporesi” La disciplina introdotta dal “Testo Unico” in materia di società a partecipazione pubblica” in “Le Società Pubbliche” a cura di F. Fimmano, A. Catricalà, R. Cantone, edizione 2020.

[22] Cfr. art. 2325 comma 2 bis cod. civ. Le norme di questo titolo si applicano alle società con azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali”, alludendo evidentemente al d.lgs. 58/1998.

[23] Per un inquadramento generale della disciplina delle società a partecipazione pubblica si veda FIMMANO’ Le società pubbliche in house providing tra disciplina del soggetto e disciplina dell’attività, in Giust. Civ., 2014, 1135 s.; Le società pubbliche, ordinamento, crisi ed insolvenza, a cura di FIMMANO’, ricerche di law & economics, Milano, 2011.

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