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Il servizio idrico integrato e la realizzazione della gestione di un bene comune attraverso il sistema regolatorio
di Pietro Acri 3 giugno 2021
Materia: acqua / servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato e la realizzazione della gestione di un bene comune attraverso il sistema regolatorio

PIETRO ACRI

 

Sommario: 1. Riflessi della concezione acqua-bene comune e non antitesi rispetto alla efficienza nella gestione 2. La “misura compositiva” della regolazione del servizio tra fini pubblicistici e sostenibilità economica di un servizio a carattere industriale 3. Il full cost recovery 4. Sviluppo del servizio pubblico e territorio (attraverso la pianificazione specifica del servizio idrico integrato) 5. Il ruolo dell’Autorità nazionale di regolazione e degli Enti di Ambito nella definizione ottimale degli interessi per la gestione del SII. 6. Progettualità del servizio e forme di gestione: i fattori sui quali le Amministrazioni pubbliche debbono fondare le proprie scelte. 7. Ponderazione dell’interesse pubblico nell’individuazione di modelli gestionali concreti per l’esecuzione delle scelte di regolazione. 

 

1. Riflessi della concezione acqua-bene comune e non antitesi rispetto alla efficienza nella gestione

Il Servizio idrico integrato - SII, in termini emblematici anche rispetto agli altri servizi di interesse generale a rilevanza economica, ha rappresentato negli ultimi decenni la sede di un confronto tra differenti modelli - ideali, sociali e giuridici - con i quali viene concepita e percepita l’azione dello Stato e della sua organizzazione amministrativa nella società civile. Se infatti la legge Galli (l. 5 gennaio 1994, n. 36) aveva avviato un percorso di efficientamento delle gestioni senza determinare un necessario allontanamento dal principio di “equiordinazione delle modalità di affidamento e gestione del servizio”, le successive norme intervenute a partire dai primi anni 2000 (nota 448, 2001 e 269 2003) hanno accentuato il dato economico legato al servizio idrico integrato portando ad un evidente disfavore verso forme di intervento pubblico (anche indiretto) nell’operatività del servizio stesso.

L’intervento della volontà popolare (con il noto referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011) ha determinato non del tutto consapevolmente[1] l’avvio (invero discontinuo e non sistematico) di un parziale ripensamento di tali scelte di regolazione generale. Si è infatti passati da un disegno normativo primariamente improntato allo sviluppo delle gestioni del servizio idrico integrato per il tramite di premialità economiche, ad un tendenziale visione di favore per una maggiore valorizzazione del legame tra l’acqua “risorsa” - bene comune e il territorio di riferimento, all’interno però di una cornice di regolazione innovativa.

Si tratta, è bene precisarlo, di un cambio di rotta che ha assunto una valenza prettamente politica e sociologica ma che non ha disconosciuto, nei fatti, il perseguimento di principi di efficienza e ottimale gestione del servizio (necessari anche al perseguimento dell’interesse pubblico ambientale sotteso all’utilizzo della risorsa idrica).

Peraltro, ciò non riduce la rilevanza della riflessione (e in parte ripensamento) degli strumenti utilizzabili per addivenire ad una gestione del SII anche e soprattutto in ottica di corretta e ponderata determinazione degli enti locali in sede di scelte concrete di affidamento dei servizi.

 

2. La “misura compositiva” della regolazione del servizio tra fini pubblicistici e sostenibilità economica di un servizio a carattere industriale

Il SII sconta, come altri servizi pubblici locali di interesse economico[2], la mancanza di una disciplina normativa sistematica e unitaria[3]. Infatti, a seguito dell’esito referendario del 12 e 13 luglio 2011, il legislatore ha in più occasioni tentato di addivenire all’adozione di un testo organico in materia di servizi pubblici locali di interesse economico ma senza successo[4]. Stessa sorte è toccata, fino al momento attuale, ai plurimi disegni di legge proposti in materia di SII, che si sono invero caratterizzati (e ancora si caratterizzano) per una lettura del servizio idrico non totalmente aderente alle caratteristiche intrinseche del servizio stesso e alle indicazioni generali derivabili da  un ormai consolidato orientamento della Corte costituzionale[5].

La mancanza di un testo unico e sistematico non deve peraltro indurre nell’errore di ritenere che la materia non trovi una concreta regolazione a livello normativo e che tale regolazione non si sia, nei fatti, strutturata in una logica di componimento di interessi che possono apparire (solo superficialmente) non componibili.

Se si guardano i principali elementi di innovazione dell’impianto normativo che ha caratterizzato il SII negli ultimi decenni si potrà verificare che gli stessi non risultano essere stati scalfiti né dal referendum abrogativo del 2011 né dalle successive norme volte ad una “ripubblicizzazione” del settore. Restano infatti tutt’ora centrali le scelte approntate già con la c.d. legge Galli e sono configurabili nella volontà di addivenire 1) ad un organizzazione integrata delle fasi del servizio idrico; 2) ad una caratterizzazione del servizio pubblico che tenga conto del carattere industriale dello stesso e della necessità di una copertura dei costi sostenuti per la gestione; 3) all’individuazione di ambiti territoriali di area vasta (o comunque sovracomunale) nell’ottica di una più efficiente ed efficace organizzazione e gestione del servizio; 4) all’omogeneizzazione dei criteri tariffari su scala nazionale e all’adozione di piani programmatici di medio-lungo periodo in grado di garantire uno sviluppo della rete coerente con le finalità di servizio.

La ragione dell’attuale e complessivo assetto di disciplina della materia è stata interpretata come una chiara volontà del legislatore di trovare nel SII un equilibrio espressivo della “misura compositiva” degli interessi sociali (erogazione di un bene fondamentale ma scarso) e sostenibilità economica (declinata nell’ottica dell’efficienza e efficacia del servizio), ove la volontà politica «è consistita nella ricerca di un modello di gestione in cui trovi adeguata sintesi la dialettica tra efficienza, anche imprenditoriale, del servizio, nell’ambito dei vincoli europei, garanzia degli utenti, che sono titolari di un diritto fondamentale, e universalità del servizio»[6].

In questa sintesi si è certamente riaffermata la necessità di un approccio quantomeno “equiordinato” delle diverse possibili forme di gestione del SII ma ciò è stato possibile entro specifici e determinati schemi procedimentali che consentono di predeterminare la misura della discrezionalità delle scelte amministrative approntate, per il tramite, come si dirà meglio, di una valutazione di fattori di ponderazione delle scelte. Se da un lato vi è infatti la necessità di garantire agli enti locali (nello loro forme associate) la possibilità di esprimere indirizzi concreti volti a valorizzare le specificità dei singoli territori interessi dal servizio  dall’altro vi è l’ormai consolidata afferenza del settore a esigenze (materie) di chiara rilevanza statale quali sono l’ambiente e la concorrenza[7].

Sul punto le previsioni contenute nel d.l. 11 agosto 2011, n. 138, conv. con modificazioni in l. 14 settembre 2011, n. 148 confermano che l’indirizzo organizzativo del SII su area vasta, risponde prioritariamente a dette finalità.

L’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 disciplina infatti gli “Ambiti territoriali e criteri di  organizzazione  dello  svolgimento dei servizi pubblici locali” stabilendo che «A tutela della concorrenza e  dell'ambiente,  le  regioni  e  le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano  lo  svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza  economica  definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali  e  omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione  idonee  a massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando  gli enti di governo degli stessi, entro il termine del 30 giugno 2012 […]» (comma 1) e che «Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali  a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al  settore dei  rifiuti  urbani,  di  scelta  della  forma   di   gestione,   di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza,  di affidamento della  gestione  e  relativo  controllo  sono  esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o  bacini  territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del  comma  1  del presente articolo cui gli enti locali partecipano  obbligatoriamente […]» (comma 1-bis). La disposizione funge certamente da riferimento generale della materia consentendo già alcune riflessioni, che saranno meglio sviluppate nei successivi paragrafi, sul generale spostamento dell’interesse del legislatore  del momento dell’affidamento a quello della regolazione del servizio.

 La regolazione che si esplica sotto molteplici forme:

- predeterminazione dei metodi tariffari e della struttura della tariffa su scala nazionale;

- pianificazione preventiva dello sviluppo di reti e infrastrutture a livello sovracomunale;

- definizione degli obblighi di servizio pubblico sulla base di modelli convenzionali in parte predeterminati da Amministrazioni nazionali competenti in materia.

La scelta operata dal legislatore muove da alcuni elementi oggettivi, di stampo programmatico, che neppure le resistenze di sistema hanno saputo scardinare.

Il primo di questi è certamente individuabile nella “tariffa” del servizio.

La tariffa è definita dall’art. 154 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice Ambiente) come «il corrispettivo del servizio idrico integrato» che viene determinata «tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’ente di governo dell’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».

 

3. Il full cost recovery

Il carattere di “corrispettivo” quale controprestazione[8] puntuale al servizio reso delinea molto bene la funzione primaria affidata alla tariffa del servizio idrico che diviene il parametro di valutazione economica concreta dell’efficienza e specchio dei costi realmente sostenuti a favore dello sviluppo dello specifico servizio.

Corollario di questo carattere di “corrispettivo” è anche il principio della necessaria copertura complessiva dei costi sostenuti (full cost recovery) per lo svolgimento del servizio, che ribadisce l’intrinseco carattere industriale del SII senza che ciò entri in qualche modo in conflitto con i ben noti esiti del referendum abrogativo del 2011[9]. Infatti, come ben chiarito anche dalla Corte costituzionale[10] la rilevanza economica del servizio è coessenziale a qualsivoglia attività svolta secondo il metodo economico «nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)»[11].

La normativa interna si pone peraltro in piena armonia con quanto disposto dall’art. 9 della direttiva n. 2000/60/CE, secondo cui «Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’allegato III e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga”», configurando anche a livello europeo la tariffa dei servizi idrici quale «mezzo per garantire un uso più sostenibile delle risorse idriche ed il recupero dei costi dei servizi idrici nell’ambito di ogni specifico settore economico»[12].

Proprio in ragione del ruolo centrale della tariffa nel determinare una efficacie ed efficiente allocazione della risorsa idrica il legislatore ha previsto che i criteri metodologi per la formazione della stessa siano stabiliti a livello nazionale e secondo voci di costo quanto più omogenee per tutte le gestioni presenti sui diversi territori.

Tale scelta di regolazione, sebbene in varie occasioni contestata a livello locale, ha da tempo trovato un avallo da parte della giurisprudenza costituzionale che ha ravvisato nella predeterminazione a livello statale delle componenti tariffarie un elemento di garanzia per quanto riguarda soprattutto la definizione di livelli uniformi di tutela dell’ambiente e di garanzia di efficienza del servizio nel suo complesso.

 

4. Sviluppo del servizio pubblico e territorio (attraverso la pianificazione specifica del servizio idrico integrato)

Ulteriore dato centrale nella innovazione verso l’efficienza ed l’efficacia dell’organizzazione SII su scala nazionale passa attraverso la valorizzazione di una pianificazione degli interventi infrastrutturali e di una maggiore conoscenza del territorio servito.

L’art. 149 del d.lgs. n. 152/2016 prevede espressamente che gli enti di governo di ciascun Ambito Territoriale Ottimale – ATO adotti un “Piano d’Ambito” appositamente strutturato al fine di avere:

a) una ricognizione delle infrastrutture (conoscenza della consistenza di reti e asset del SII che valuti anche il loro stato manutentivo e l’efficienza di funzionamento);

b) un programma degli interventi (strategia di manutenzione e sviluppo della rete e del servizio che tenga conto dei livelli minimi di servizio, della complessiva domanda dell’utenza, delle esigenze di utenti collocati in zone territoriali specifiche, come quelle montate e di difficile raggiungimento);

c) l’inquadramento del modello gestione e organizzativo (ovvero la valutazione di capacità delle forme di gestione / organizzazione di rispondere alle esigenze di servizio e di sviluppo della rete prefigurate nel piano)

d) un piano economico finanziario (un documento che consenta di prospettare la sostenibilità complessiva del progetto organizzativo del servizio proposto e il raggiungimento di un equilibrio economico finanziario nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità di gestione).

Una corretta pianificazione a livello di ATO risulta centrale per lo sviluppo del SII in piena rispondenza al miglior utilizzo possibile della risorsa pubblica. Con tale atto l’Ente di governo dell’ambito definisce infatti la “progettualità” per il futuro del servizio e individua, di conseguenza, anche gli elementi fondamentali per addivenire ad una concreta valutazione delle forme di gestione attuabili (come meglio si analizzerà nei prossimi paragrafi).

Chiarito che tali strumenti di regolazione sono certamente funzionali ad un processo di omogeneizzazione dei livelli essenziali del SII, a vantaggio anche di un generale efficientamento del complessivo sistema idrico nazionale, si deve peraltro valutare se l’attuale assetto di competenze consenta un concreto controllo e coordinamento tra i vari soggetti istituzionali coinvolti. Si è infatti già ricordato che l’attuale disciplina ordinamentale ha dato vita ad un’organizzazione del settore su plurimi livelli decisionali che devono necessariamente agire secondo schemi comuni per non addivenire ad esiti contrastanti con le finalità indicate dal legislatore.

 

5. Il ruolo dell’Autorità nazionale di regolazione e degli Enti di Ambito nella definizione ottimale degli interessi per la gestione del SII.

L’attribuzione di importanti funzioni di regolazione nel SII all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (d’ora in poi ARERA) ha certamente segnato un punto di svolta nel processo di razionalizzazione di alcune decisioni tecniche ed economiche fondamentali per garantire l’efficientamento del settore e il rafforzamento di istanze di omogeneità dei servizi su tutto il territorio nazionale[13]. Si è trattata, invero, di una scelta legislativa forse non pienamente consapevole considerando che il legislatore vi ha adempiuto in forza di una norma non dedicata ai servizi idrici[14]  e forse sotto l’impulso del clima fortemente favorevole all’operato delle Autorità amministrative indipendenti[15].

Vero è in ogni caso che tale passaggio ha consentito anche nel settore dei servizi idrici di addivenire ad una regolazione piena e stabile fondata su schemi procedimentali capaci di portare elementi ad una semplificazione applicativa dei principi perseguiti dal legislatore primario (si pensi in primo luogo alla definizione di criteri tariffari omogenei a tutela della risorsa idrica).

I poteri attribuiti all’Autorità sono molteplici e caratterizzati da una decisa incisività d’azione considerando che gli stessi sono conferiti in forza di quanto previsto dalla l. 14 novembre 1995, n. 481 (come già per gli altri settori regolati dall’ARERA).

Il dato emerge con chiarezza se si analizza il contenuto del d.P.C.m. 20 giugno 2012 con il quale è stata data attuazione alla normativa primaria ed intitolato appunto “Individuazione delle funzioni dell'Autorita' per l'energia  elettrica ed il gas attinenti alla  regolazione  e  al  controllo  dei  servizi idrici” [NOTA: riportare titolo integrale]. Il decreto, una volta indicate le funzioni generali di coordinamento ancora riservate al Ministero dell’Ambiente (art. 1) e le finalità e principi ispiratori della regolazione nel settore idrico (art. 2), si occupa di elencare le funzioni di regolazione e controllo di cui dispone l’Autorità [NOTA: riportare integralmente art. 3 d.P.C.m.] fornendo un quadro complessivo della regolazione di settore che pare spingersi nella direzione di una sintesi da una pluralità di interessi, anche non strettamente tecnici, quali la definizione di “livelli minimi e gli  obiettivi  di  qualità  del servizio idrico integrato” o il livello “di fruibilità del servizio da parte degli utenti”.

Nel definire tale assetto di interessi l’Autorità deve peraltro trovare un dialogo di sintesi con le entità di Ambito costituite su tutto il territorio nazionale. Come si è già visto nei precedenti paragrafi il legislatore nazionale ha infatti assegnato funzioni primarie alle ATO sia in relazione alla programmazione del servizio che alla scelta del modello di gestione da attuare sui singoli territori[16].

Nell’attuale schema regolatorio la composizione delle differenti funzioni avviene attraverso il seguente schema attuativo:

- l’ARERA delibera i criteri generali del metodo tariffario, le convenzioni tipo per l’affidamento della gestione del servizio e delinea le voci di costo astrattamente ammissibili nel settore;

- le singole ATO definiscono – sulla base dei principi stabiliti da ARERA – le proprie proposte tariffarie e la programmazione organizzativa e gestionale di ambito;

- l’ARERA verifica la corretta redazione del piano  d'ambito e approva le tariffe del servizio idrico  integrato proposte.

Rispetto a quest’ultimo passaggio è rilevante sottolineare che a dette funzioni di verifica e approvazione il legislatore ha riconnesso conseguenze volte a consentire un’applicazione dei principi tariffari coerente (e quanto più possibile omogenea) su tutto il territorio nazionale. Infatti, il già citato d.P.C.m. prevede espressamente che le prescrizioni impartite da ARERA con riferimento ai singoli piani d’ambito siano recepite a pena di inefficacia dello strumento programmatico che l’ATO intende adottare. Tale meccanismo è adottato anche rispetto alle prescrizioni impartite in sede di approvazione delle tariffe proposte dall’ATO,  con l’ulteriore previsione dell’esercizio di specifici poteri sanzionatori in caso di inosservanza continuata e della possibilità di adottare in via provvisoria una tariffa differente da quella proposta dall’autorità di ambito.  

Il passaggio di competenze così rilevanti ad un’Autorità nazionale di regolazione ha dunque inciso fortemente sulla materia portando ad una visione innovativa rispetto al passato ove la natura del soggetto gestore, da molti anni al centro dell’attenzione del legislatore e dell’opinione pubblica, diventa fattore non più così rilevante o quantomeno non valutabile in maniera slegata e autonoma dall’orientamento fornito in sede di programmazione regolatoria. Come sottolineato da attenta dottrina, l’orientamento al “risultato” – in termini di efficienza ed efficacia – ha spostato il baricentro sulla regolazione quale momento nel quale definire le finalità che si intendono perseguire al di là dell’attaccamento a modelli formali preordinati.

Non si deve peraltro pensare che da tale spostamento derivi uno schiacciamento totale dell’autonomia delle singole entità di ambito, e dunque degli enti locali che le compongono, nel determinare le prospettive ed esigenze di servizio dei propri territori. Si deve piuttosto ritenere che detta autonomia potrà esplicarsi certamente secondo modelli di ponderazione degli interessi veicolati all’interno di una progettualità predefinita dalla quale far conseguire, in concreto, le scelte finali operative.

 

4. Progettualità del servizio e forme di gestione: i fattori sui quali le Amministrazioni pubbliche debbono fondare le proprie scelte.

Regolazione e pianificazione risultano essere la risposta attuale del legislatore alla perseguimento di un principio di efficienza del SII che sia in grado di rispondere alla necessità di ottenere livelli minimi elevati di servizio consentendo comunque una valorizzazione delle specificità territoriale in un’attica di adeguatezza e proporzionalità.

Per tale ragione, si è visto, la trama regolatoria opera su piano multilivello con flusso dialogico che dovrebbe attestarsi come continuo per portare ai risultati sperati.

In questi termini, l’Autorità nazionale fornisce la cornice progettuale generale di settore garantendo standard qualitativi elevati e adeguata concorrenzialità tra i possibili operatori di servizio. Alle ATO è invece affidato il compito – assolutamente centrale – di definire il loro “progetto di servizio per il futuro” ovvero di delineare tramite il percorso “conoscenza-pianificazione-sostenibilità” un progetto di organizzativo/gestionale coerente con gli interessi del territorio e con le finalità già individuate in sede di regolazione primaria.

Da questi due primi piani progettuali, che potremmo definire “generale” e “definitivo”, dovrà essere possibile desumere la forma di gestione che in concreto potrà meglio assicurare il raggiungimento degli obiettivi definiti nei piani.

S’intende ciò dire che la natura del soggetto gestore (pubblico o privato che sia) non può rappresentare di per sé e in senso preordinato il fine a cui l’Amministrazione deve aspirare ma, al contrario, esso si desumerà quale modello esecutivo che meglio risponde alle esigenze programmatiche di servizio.

Invero, ormai da molti anni la scelta della forma di gestione è accompagnata da oneri motivazionali specifici caratterizzati da elementi di natura tecnica, economica e organizzativa.

Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che «la scelta da parte dell’amministrazione di utilizzare tale modello organizzatorio, in relazione alle conseguenze derivanti sotto molteplici aspetti (es. per il sistema dei controlli, sia giuridici che politici) deve essere rivestita da particolari cautele e deve derivare da un’adeguata ponderazione di tutti gli interessi coinvolti da tale scelta»[17].

Segnatamente viene richiesto di considerare la convenienza economica per le finanze dell’ente locale di una soluzione organizzativa rispetto alle altre attraverso la redazione di un’apposita relazione che:

- confronti i risultati economici prevedibilmente derivanti dalle varie possibili forme di gestione;

- tenga conto della qualità del servizio erogato e del diverso grado di efficienza nello svolgimento attraverso l’uno e l’altro strumento;

- svolga tale comparazione mediante un calcolo dettagliato dei costi e benefici di ciascuna forma di servizio.

I caratteri evidenziati dalla giurisprudenza amministrativa si ritrovano, con evidenti analogie, nella normativa vigente ove spesso si richiede alle Amministrazione di dare evidenza analitica della scelta effettuate.

E’ il caso, ad esempio, dell’art. 5 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 che riconnette la possibilità delle Amministrazioni pubbliche di dare vita ad un soggetto societario solo attraverso una motivazione analitica che dia atto:

- del carattere necessario della società per il perseguimento dell’interesse pubblico;

- della convenienza economica di tale scelta;

- della sostenibilità economica del progetto societario anche rispetto ad una gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato;

- della compatibilità della scelta approntata con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

Di analogo tenore sono le previsioni contenute nell’art. 192 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 relativo al regime (definito “speciale”) degli affidamenti in house. La norma precisa infatti che ai fini di procedere all’ affidamento di servizio contendibile sul mercato concorrenziale secondo il modello in house providing l’Amministrazione è tenuta a svolgere una preventiva valutazione circa:

- la congruità economica dell’offerta dei soggetti in house;

- le ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta;

- la complessiva sostenibilità del progetto di affidamento con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

Per i servizi pubblici di rilevanza economica la scelta dello strumento della “relazione illustrativa” di contenuto analitico è direttamente richiamato all’art. 34, comma 20 del d.l. n. 179/2012 che la introduce appositamente quale strumento che gli enti pubblici competenti devono utilizzare per determinare la scelta della forma di gestione del servizio maggiormente rispondente agli interessi pubblici generali perseguiti.

Ancora una volta, il legislatore sceglie di affidare la scelta organizzativa approntata dall’Amministrazione entro specifici canali d’azione capaci di rispondere al fine già delineato a monte nel complesso regolatoria di settore: far discendere le scelte discrezionali degli enti da esigenze oggettive di programmazione del servizio sul territorio. Non è un caso infatti che la norma affidi a questa relazione proprio la dimostrazione delle «ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste» (così l’art. 34, comma 20).

La scelta della forma di gestione è dunque conseguenza della rispondenza di un modello a elementi oggettivi e verificabili contenuti nel progetto organizzativo approvato dall’ente competente e non invece una scelta puramente discrezionale legata alla preferenza per l’una o l’altra forma di gestione. Sarà proprio dalla rispondenza alle finalità progettuali che l’Amministrazione sarà in grado di individuare concretamente la forma di gestione che meglio si attaglia al contesto sostanziale di riferimento stante la sostanziale equiparazione tra i modelli ammessi dall’ordinamento europeo che è attualmente il principio guida anche nel diritto interno[18].

Per tali ragioni, anche nel più recente periodo, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito  il carattere sostanziale e non meramente formale di tale relazione e la sua indispensabilità ai fini della corretta individuazione del gestore del servizio pubblico locale. Infatti «quale che sia la scelta di gestione del servizio pubblico locale a rilevanza economica adottata dall’ente, si tratta di valutazioni che, riguardando l’organizzazione del servizio e la praticabilità di scelte alternative da parte del Comune, devono essere svolte in concreto, con un’analisi effettuata caso per caso e nel complesso»[19]. In questi termini detta relazione non può essere degradata a mero orpello formale della scelta approntata dall’Amministrazione ma dovrà invero «in maniera congrua e adeguata motivare sull’assenza di alternative praticabili, non potendo ciò essere supplito da una valutazione con prognosi postuma effettuata dal giudicante»[20].

Non si tratta certamente di una novità nel settore dei servizi pubblici che fin dalle origini della regolazione hanno visto nel procedimento analitico e motivato l’elemento centrale per addivenire ad un’assunzione del servizio in capo all’Amministrazione. Si ricorda in tal senso il testo dell’art. 10 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 che proprio con riferimento alla possibilità di assunzione diretta di un servizio pubblico da parte dei comuni e delle province prevedeva l’assunzione di una delibera «dove indicare, mediante apposito progetto di massima tecnico e finanziario, i mezzi con cui s’intende far fronte alle spese per l’impianto e per la gestione del servizio che vuole assumersi».

È dunque dentro questi parametri che si dovrà sviluppare il percorso di ponderazione degli interessi che porterà alla concreta individuazione di uno specifico e concreto modello (o tipo) di gestione quale strumento di miglior realizzazione possibile (“progettazione esecutiva”) delle esigenze progettuali predeterminate dagli atti di regolazione (le fasi di progettazione “generale” e “definitiva” di cui si è detto sopra).

 

7. Ponderazione dell’interesse pubblico nell’individuazione di modelli gestionali concreti per l’esecuzione delle scelte di regolazione. 

La libertà nella scelta della forma di gestione del SII, come si è già avuto modo di precisare, ha per  lungo tempo catalizzato l’attenzione di chi rivendicava una gestione dell’acqua “bene comune” totalmente ripubblicizzata, in contrasto con una normativa che invece vedeva nella spinta verso l’esternalizzazione dei servizi l’unica possibile risposta all’efficientamento del sistema idrico.

Si tratta in entrambi i casi di visioni che pongono il modello di gestione al centro di una scelta discrezionale libera o quantomeno slegata dal contesto programmatico e regolatorio cui si è dato conto nel presente contributo. Nel settore qui considerato si tratta di una impostazione che non può ritenersi corretta.

La discrezionalità si attaglia infatti quale spazio decisionale lasciato all’Amministrazione e che la stessa riempie di contenuto in conformità al principio di legalità e ai criteri generali dettati dalla Costituzione (art. 97 Cost.).

Nel riempire di contenuto questa discrezionalità l’Amministrazione compie un’azione di ponderazione comparativa tra interessi (primari e secondari) andando a costituire il margine di apprezzamento che la legge (e la complessiva regolazione di settore) lasciano alla determinazione dell’autorità amministrativa.

Nella materia del SII lo spazio di scelta/apprezzamento discrezionale che si rinviene in capo all’Amministrazione competente è solo ed esclusivamente quello che può derivare dalle scelte progettuali a monte definite negli atti di regolazione nazionale e in quelli di pianificazione locale. Con ciò non si intende dire che la discrezionalità dell’Amministrazione è forzatamente “vincolata” ma che è necessariamente legata (e discendente) da scelte programmatiche sulle quali svolgere la ponderazione del potere discrezionale che viene esercitato nel momento dell’individuazione di un modello gestionale esecutivo per la gestione effettiva del SII.

Corollario e caduta di questa considerazione è il venir meno della necessità di complesse e tortuose strade normative finalizzate ad impedire a priori l’applicazione di modello (in house) piuttosto che un altro (esternalizzazione con gara): un dato modello gestionale sarà infatti preferibile in concreto dall’amministrazione qualora l’indagine analitica svolta secondo i fattori indicati dalla normativa vigente permetta di qualificarlo come il più rispondente alle complessive esigenze di servizio contenute nel piani di programmazione.

Non dovrà dunque essere più la forma di gestione a determinare il contenuto degli atti di programmazione ma semmai il contrario.

È certamente possibile che una tale applicazione della ponderazione degli interessi possa portare a possibili distorsioni della pianificazione territoriale (che si svolge nella fase anteriore) al fine di preconizzare le basi per un affidamento con modelli prettamente pubblicistici (nella successiva fase di scelta concreta della forma di gestione) ma è altrettando vero che l’attuale sistema di regolazione (e in particolare il ruolo sempre crescente dell’Autorità nazionale di regolazione) consentono di prevenire effetti distonici riportando le scelte di programmazione territoriale nell’alveo dei criteri generali di efficienza e qualità della materia, pur senza eliminare per questo le giuste e necessarie specificità dei singoli territori.     

 

 

 

 

 

 



[1] Sul punto in dottrina F. Caporale, I servizi pubblici. Dimensione economica e rilevanza sociale, Milano, 2016.

[2] Sulla rilevanza economica del servizio idrico integrato cfr. Corte costituzionale, 26 gennaio 2011, n. 26 e 15 giugno 2011, n. 187.

[3] Sulla cronica instabilità della disciplina dei servizi pubblici locali M. DUGATO, La crisi del concetto di servizio pubblico tra apparenza e realtà, in Dir. amm., 2020, pp. 511 ss. In tema anche T. BONETTI, Servizi pubblici locali di rilevanza economica: dall’”instabilità” nazionale alla deriva europea, in Munus, 2012, pp. 417.

[4] Ci si riferisce all’attuazione dello “schema di decreto legislativo recante testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale” mai approvato in via definitiva anche a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale 25 novembre 2016, n. 251.  

[5] Cfr. Corte costitzionale 12 marzo 2015, n. 32 e 15 giugno 2011, n. 187.

[6] Cfr. Consiglio di Stato, sez. 25 gennaio 2021, n. 768.

[7] Cfr. Corte costituzionale 24 luglio 2009, n. 246

[8] Cfr. in particolare Corte costituzionale 10 ottobre 2008, n. 335 che qualifica la tariffa del servizio quale “corrispettivo di una prestazione commerciale complessa”.

[9] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 maggio 2017, n. 2481 ove il giudice amministrativo conferma la corenza di questo principio con il complessivo assetto normativo vigente.

[10] Cfr. Corte costituzionale 26 gennaio 2011, n. 26 e 11 novembre 2010, n. 325.

[11] Cfr. Corte costituzionale 11 novembre 2010, n. 325, punto 9.1. del Considerato in diritto.

[12] Sul punto Comunicazione della Commissione COM(2000) 477 definitivo.

[13] Cfr.F. Caporale, I servizi pubblici. Dimensione economica e rilevanza sociale, cit. pag. 251.

[14] Il riferimento è all’art. 21, commi 19 e seguenti del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. con modificazioni in l. 22 dicembre 2011, n. 214, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”.

[15] Sul tema G. NAPOLITANO, La rinascita della regolazione per autorità indipendenti, in Gior. Dir. amm., 2012, pp. 229 ss.

[16] Cfr. artt. 149 e 149-bis d.lgs. n. 152/2006.

[17] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374.

[18] Si deve peraltro rilevare che la progettualità del piano d’ambito sarà elemento fondamentale anche per determinare la durata del rapporto di concessione con il gestore in conformità alla normativa vigente. Sul tema si veda M. CALCAGNILE, Durate delle concessioni di servizi pubblici e regime della gestione, in Dir. amm., 2020, pp. 591 ss.

[19] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 2019, n. 2275.

[20] Cfr. ancora Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 2019, n. 2275.

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