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Consiglio di Stato, Sez. IV, 6/7/2021 n. 5158
Alla Corte cost. l'art. 16, c.1, l. r. E. Romagna n. 23/2011, nella parte in cui nell'individuare il costo complessivo del servizio di smaltimento dei rifiuti da imputare alla tariffa a carico dell'utente finale affianca ai costi effettivi anche gli

Materia: ambiente / rifiuti
Pubblicato il 06/07/2021

N. 05158/2021REG.PROV.COLL.

N. 09659/2020 REG.RIC.

N. 09660/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 9659 del 2020, proposto dalla società Herambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, 32;

contro

la Regione Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Puliatti e Fabrizia Senofonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

nei confronti

dell’Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 9660 del 2020, proposto dalla società Herambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, 32;

contro

la Regione Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Puliatti e Fabrizia Senofonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

nei confronti

dell’Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione seconda, n. 408 del 16 giugno 2020, resa tra le parti, concernente la fissazione dei criteri per la determinazione del corrispettivo per lo smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilati disposta con delibera giuntale n. 467 del 2015;

quanto al ricorso n. 9660 del 2020:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione seconda, n. 413 del 16 giugno 2020, resa tra le parti, concernente la fissazione dei criteri per la determinazione del corrispettivo per lo smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilati disposta con delibera giuntale n. 380 del 2014.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia-Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le note di udienza depositate in entrambi i ricorsi dall’appellante società e dalla resistente Regione rispettivamente in data 25 maggio 2021 e 26 maggio 2021;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2021, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, il consigliere Luca Lamberti;

Visto l'art. 36, comma 2, c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con distinti ricorsi la società odierna appellante ha impugnato avanti il T.a.r. per l’Emilia-Romagna due delibere della Giunta regionale (la n. 380 del 2014 e la n. 467 del 2015) con cui, in attuazione dell’art. 16, comma 1, l.r. n. 23 del 2011 ed a parziale modifica della pregressa delibera giuntale n. 135 del 2013, sono stati fissati i criteri per l’individuazione e la quantificazione dei costi - sostenuti dai soggetti privati gestori degli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) - che devono essere imputati alla tariffa gravante sugli utenti finali: la citata disposizione di legge regionale, infatti, stabilisce che “l’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica [ossia quella, in proprietà di privati, deputata alle operazioni di smaltimento dei rifiuti] che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio”.

2. Con le sentenze indicate in epigrafe il T.a.r. ha respinto i ricorsi.

3. La società ha interposto distinti appelli, riproponendo le doglianze di prime cure.

3.1. La Regione Emilia-Romagna si è costituita in resistenza in entrambi i giudizi.

3.2. In vista della trattazione dei ricorsi le parti hanno depositato, in entrambi i giudizi, memorie difensive e repliche.

3.3. I ricorsi sono stati introitati in decisione alla pubblica udienza del 27 maggio 2021.

4. Il Collegio provvede, preliminarmente, alla riunione dei giudizi ai sensi dell’art. 70 c.p.a., stante l’evidente connessione oggettiva e soggettiva.

5. La complessa vicenda oggetto del contendere può essere sintetizzata, in ossequio al dovere di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a., come segue.

5.1. L’art. 16, comma 1, l.r. n. 23 del 2011 dispone, per quanto qui di stretto interesse, che:

- gli impianti privati di smaltimento dei RSU non entrano a far parte del servizio di raccolta e trattamento dei RSU e del relativo affidamento ad un operatore economico ma, di contro, restano nella titolarità e nella gestione del relativo proprietario, pur se comunque attinti dalla “regolazione pubblica”;

- i costi sostenuti dai titolari di detti impianti per l’attività di smaltimento debbono essere imputati alla tariffa dovuta dagli utenti del servizio “tenendo conto dei costi effettivi e considerando anche gli introiti”.

5.2. Con la delibera giuntale n. 135 del 2013, non impugnata e, dunque, oramai consolidatasi ad ogni effetto, la Regione aveva inizialmente stabilito, al fine di individuare i costi da imputare a tariffa, di scomputare dai costi complessivi sostenuti dal titolare dell’impianto per le operazioni di smaltimento dei RSU quella parte dei connessi incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile corrispondente alla quota di finanziamento pubblico a fondo perduto di cui avesse eventualmente ab origine beneficiato il medesimo titolare per la costruzione dell’impianto.

5.3. In sostanza ed in chiave di analisi economica del diritto, con tale delibera la Regione traslava pro quota in capo all’utenza i vantaggi economici (sub specie di benefici incentivanti) conseguiti dall’impianto, relativamente a quella parte del costo di costruzione che era stato sostenuto con fondi pubblici.

5.4. La ratio di tale decisione riposava, evidentemente, nell’intenzione di evitare “extra-profitti” in capo al titolare dell’impianto, deviando a favore della collettività quella parte degli incentivi corrispondenti alla quota del contributo pubblico a suo tempo erogato per la realizzazione dell’impianto.

5.5. Tuttavia, con le successive delibere in questa sede impugnate, afferenti rispettivamente al 2014 ed al 2015, la Regione ha esteso tale scomputo anche alla quota del capitale progressivamente ammortizzato.

5.6. La Regione, in altri termini, ha assunto che, da un punto di vista economico, l’iniziale erogazione di finanziamenti pubblici a fondo perduto ed il successivo, progressivo ammortamento del capitale privato inizialmente speso per la costruzione dell’impianto, nei limiti in cui l’obsolescenza consegua all’attività di smaltimento de qua, avrebbero il medesimo effetto di porre a carico del pubblico l’onere finanziario dell’impianto.

5.7. Da ciò emergerebbe, ad avviso della Regione, l’opportunità di detrarre dai costi da imputare a tariffa a carico dell’utenza anche i ricavi da incentivo per la produzione di energia da fonti rinnovabili percepiti dal titolare dell’impianto in proporzione della quota di capitale progressivamente ammortizzata.

5.8. In definitiva, con tali delibere la Regione, nella dichiarata attuazione del citato art. 16, comma 1, l.r. n. 23 del 2011, ha inteso escludere ogni possibile forma di “extra-profitto” del privato, privandolo di quella parte degli incentivi corrispondente al capitale che, non solo ex ante (finanziamento pubblico a fondo perduto), ma anche ex post (quota di progressivo ammortamento del capitale), gravi de facto sulla collettività.

6. Ciò premesso, il Collegio osserva che non hanno pregio le censure della società appellante (svolte in prime cure e qui riproposte) afferenti:

- alla violazione del cd. “metodo normalizzato” di cui al d.p.r. n. 158 del 1999 (svolta in entrambi i ricorsi, da pag. 17 a pag. 23 nel ricorso n. 9660, da pag. 16 a pag. 21 nel ricorso n. 9659);

- alla lesione delle facoltà partecipative (svolta in entrambi i ricorsi, da pag. 23 a pag. 27 nel ricorso n. 9660, da pag. 24 a pag. 28 nel ricorso n. 9659);

- alla mancata considerazione, quali costi sopportati dal gestore, degli oneri fiscali per IRES ed IRAP (svolta nel solo ricorso n. 9659, da pag. 21 a pag. 24).

7. Invero, quanto all’assunta violazione del “metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, è agevole osservare che il d.p.r. n. 158 del 1999 non esclude expressis verbis che anche i ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei RSU in relazione a tale specifica attività possano essere computati al fine di quantificare la tariffa gravante sull’utenza finale.

7.1. Il decreto, invero, si limita a stabilire che “la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani”: il decreto, quindi, impone che siano considerati tutti i costi sostenuti dall’operatore che interviene nel ciclo dei rifiuti, con conseguente illegittimità di previsioni che escludano dalla tariffa alcune voci di costo.

7.2. Orbene, nelle delibere impugnate si è inteso operare – nella dichiarata applicazione della citata legge regionale – proprio un’individuazione dei costi reali sostenuti dall’operatore, scomputando dai costi materiali e, per così dire, “grezzi” i benefici incentivanti percepiti dall’operatore stesso in relazione ai beni capitali gravanti, non solo ex ante (finanziamento pubblico a fondo perduto), ma anche ex post (progressiva quota annuale di ammortamento), sulle casse pubbliche, in quanto e nei limiti in cui tali beni capitali siano stati utilizzati per l’attività de qua.

7.3. Le delibere impugnate, in altri termini, hanno considerato tali incentivi quali “introiti” e, dunque, quali poste algebriche negative da considerarsi nel complessivo computo dei costi finali in tesi realmente gravanti, in termini economici, sull’operatore: le delibere, in sostanza, hanno inteso muoversi entro un’analisi ab interno della struttura di costo dell’attività di smaltimento de qua, in tal modo non decampando dai principi generali enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999.

8. Non sono state lese le facoltà partecipative; più in generale, non constano illegittimità procedimentali.

8.1. Invero, il decisum delle delibere de quibus – concretante un’integrazione parziale e puntiforme della pregressa delibera n. 135 del 2013 – consegue all’accoglimento di osservazioni formulate da Atersir, l’Agenzia regionale competente in subiecta materia, proprio nel corso della fase di consultazioni propedeutica all’emanazione della delibera n. 380 del 2014.

8.2. Orbene, la fase di consultazioni disciplinata dall’art. 12, comma 6, l.r. n. 23 del 2011 (“la Regione nell’esercizio delle proprie funzioni assicura la consultazione delle organizzazioni economiche, sociali, ambientali e sindacali”) non ha struttura bifasica, non richiede cioè che la Regione, ove ritenga di accogliere, in tutto od in parte, alcune osservazioni, interloquisca nuovamente con i soggetti che hanno preso parte all’iniziale fase partecipativa.

8.3. Al contrario, la consultazione di tali soggetti si realizza e si conclude uno actu, per le seguenti ragioni:

- a livello testuale, la disposizione in esame non prevede alcuna reiterazione partecipativa;

- a livello teleologico, la partecipazione stessa è funzionale alla decisione amministrativa, che, dunque, segue la fase di consultazioni e si esplica discrezionalmente anche in base alle evidenze emerse nel corso di tale fase; altrimenti opinando, del resto, la partecipazione fungerebbe da ostacolo all’efficacia dell’azione amministrativa (cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990);

- a livello logico-sistematico, la partecipazione de qua non deroga né al principio di economicità dell’azione amministrativa, né al divieto di aggravamento del procedimento (cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990).

8.4. Di converso, proprio per tali ragioni l’Amministrazione non ha il dovere di motivare specificamente circa il mancato accoglimento di alcune osservazioni, confliggendo tale conclusione con la finalità lato sensu ausiliativa e servente delle consultazioni stesse.

8.5. Sotto altro profilo, l’appellante non può vantare una pretesa all’audizione individuale né in base alla disciplina regionale, riferita esclusivamente alle “organizzazioni economiche, sociali, ambientali e sindacali” e non ai singoli operatori imprenditoriali, né in base alla disciplina nazionale sul procedimento, che esclude l’applicazione delle ordinarie regole partecipative nei procedimenti volti all’emanazione di atti amministrativi generali, genus cui palesemente appartengono le delibere impugnate.

9. Non ha, infine, pregio la censura incentrata sulla mancata considerazione, quali costi dell’attività, degli oneri fiscali per IRES ed IRAP.

9.1. In disparte il fatto che le imposte non costituiscono stricto sensu un “costo operativo”, comunque i tributi de quibus, considerata la loro base imponibile, non hanno attinenza con la vicenda di specie: nell’ambito della Regione Emilia-Romagna, infatti, l’attività di smaltimento dei RSU è svolta ex lege in condizioni di “pareggio”, ossia sulla base del mero rimborso dei costi, con la programmatica esclusione di qualsivoglia profitto per l’operatore, che trae la propria remunerazione da altre tipologie di attività esercitate a mercato (in primis, lo smaltimento dei rifiuti speciali).

10. La società appellante svolge un’ulteriore censura (da pag. 7 a pag. 17 nel ricorso n. 9660, da pag. 5 a pag. 16 nel ricorso n. 9659), incentrata sull’assunta “violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili”: tale violazione discenderebbe dalla considerazione normativa degli incentivi, da parte della legge regionale n. 23 del 2011, quale componente degli “introiti”, ai fini del computo del rimborso spettante al gestore degli impianti di smaltimento dei RSU.

10.1. L’appellante, in sostanza, censura la possibilità stessa, per la Regione, di ricomprendere gli incentivi de quibus nell’ampia dizione di “introiti” di cui all’art. 16 della legge regionale n. 23 del 2011, dal momento che ciò “vanifica le finalità dell’incentivazione” ed equiparerebbe il titolare di un impianto incentivato “agli operatori non aventi titolo per beneficiare dell’incentivo”.

10.2. La Regione, di contro, sostiene che “la ratio dell’incentivazione alle fonti rinnovabili non è di premiare il proprietario – gestore degli impianti in quanto tale, ma il soggetto che ha sostenuto gli oneri economici dell’impianto”, ossia, nella specie, la collettività regionale.

11. La delibazione della censura richiede una previa pronuncia della Corte costituzionale.

12. Non è, viceversa, necessario sollevare questione pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, atteso che, con il quesito formulato dall’appellante (cfr. appello n. 9660 del 2020, pag. 17; appello n. 9659 del 2020, pag. 16), si mira in realtà non a sollecitare l’interpretazione del diritto unionale, bensì a sindacare la normativa legislativa regionale.

12.1. Inoltre, il quesito è inammissibilmente generico, in contrasto con il dovere di specificità richiesto nelle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea dell’8 novembre 2019 (GU 2019/C 380/01).

12.2. Infine, la Corte di giustizia ha più volte statuito che gli Stati membri (sono incluse, in tale dizione, le loro eventuali articolazioni territoriali) hanno ampia discrezionalità e vasto margine di manovra in ordine alle forme, ai modi ed ai livelli di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (cfr., ex multis, Corte di giustizia UE, sez. VII, 17 settembre 2020, C-92/19 Burgo Group; sez. X, 11 luglio 2019, C-180/18, Agrenergy; sez. IV, 15 maggio 2019, C-706/17, AB Achema).

13. Non appare, viceversa, irrilevante né manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in prime cure dall’appellante (a pag. 9 nel ricorso di primo grado relativo alla delibera n. 380 del 2014 ed a pag. 9 nel ricorso di primo grado relativo alla delibera n. 467 del 2015) con riferimento all’art. 16, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 23 dicembre 2011, nella parte in cui - nell’individuare il costo complessivo del servizio di smaltimento dei rifiuti da imputare alla tariffa a carico dell’utente finale - affianca ai “costi effettivi” anche gli “introiti .

14. La disposizione, come già riportato supra, è la seguente: “In presenza di un soggetto privato proprietario dell'impiantistica relativa alla gestione delle operazioni di smaltimento dei rifiuti urbani di cui all'articolo 183, comma 1, lettera z), del decreto legislativo n. 152 del 2006, compresi gli impianti di trattamento di rifiuti urbani classificati R1 ai sensi dell'Allegato C, Parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio. A tal fine l'Agenzia [il riferimento è all’Atersir - Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti] individua dette specificità, regola i flussi verso tali impianti, stipula il relativo contratto di servizio e, sulla base dei criteri regionali, definisce il costo dello smaltimento da imputare a tariffa tenendo conto dei costi effettivi e considerando anche gli introiti”.

14.1. Orbene, la disposizione, nella parte finale, stabilisce che, ai fini de quibus, si tenga conto anche degli “introiti”: opera, dunque, un richiamo generico ad ogni posta attiva dell’impresa.

14.2. L’ampiezza e l’atecnicità (evidentemente voluta) della dizione impongono, nel rispetto della lettera e della ratio della disposizione, di ritenervi ricompresi anche gli incentivi per l’energia prodotta da fonte rinnovabile, i quali, del resto, nella contabilità dell’impresa configurano materialmente un incremento economico, ovvero, in altra prospettiva, una posta reddituale positiva, ossia appunto un “introito”.

15. Tali incentivi, tuttavia, sono erogati per rendere economicamente sostenibili forme di produzione di energia ambientalmente compatibile derivante, nella specie, dallo smaltimento dei rifiuti: la relativa disciplina, dunque, persegue, direttamente e sotto un duplice aspetto (gestione del ciclo dei rifiuti e produzione di energia da fonte rinnovabile) finalità di “tutela dell’ambiente”, materia di legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s), Costituzione (cfr., ex multis, Corte cost. n. 180 del 2015, n. 149 del 2015, n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 378 del 2007).

15.1. Si tratta, pertanto, di stabilire se una Regione possa intervenire, sia pure indirettamente, nella vicenda incentivata, computando tali incentivi quale posta algebrica negativa nella complessa operazione di quantificazione del rimborso spettante ad un operatore economico attivo in un servizio (lo smaltimento dei RSU) sottoposto a “regolazione pubblica” e da svolgersi ex lege in condizioni di “pareggio”.

15.2. In altre parole, proprio l’ascrizione della macro-materia “tutela dell’ambiente” all’esclusiva legislazione statale può ex se ostare a che una Regione introduca una normativa che, de facto, si frappone fra il destinatario formale dell’incentivo e l’incentivo medesimo, deviando ex post quest’ultimo (rectius, i suoi effetti economici) a favore di altro soggetto, nella specie la collettività utente del servizio, sub specie di riduzione della tariffa.

15.3. Stante il carattere accentrato che, nel nostro ordinamento, ha il controllo di costituzionalità delle leggi, il Collegio non può che arrestarsi e rimettere la questione alla Corte costituzionale, competente ad individuare il perimetro dell’esclusività della competenza legislativa statale in subiecta materia, in particolare chiarendo se l’ascrizione alla regolazione statale della materia de qua copra anche le vicende estranee e successive alla materiale erogazione dell’incentivo e, in particolare, osti a discipline regionali che tale incentivo comunque computino, mutandone de facto il fruitore sostanziale, nella più ampia operazione di quantificazione degli oneri dovuti a soggetti privati operanti nell’ambito di servizi pubblici e tenuti a prestare la propria attività sulla base del principio del mero rimborso dei costi.

16. Sotto un diverso profilo, la disposizione regionale in parola consente che al gestore di impianti di smaltimento di RSU non siano rifusi tutti i costi vivi fisicamente sostenuti nello svolgimento dell’attività, bensì una mera percentuale degli stessi, dovendo altresì essere algebricamente considerati, nel complessivo computo del rimborso spettante, anche “gli introiti”.

16.1. Siffatta limitazione dei costi concretamente rimborsabili, da cui viene, nella specie, sottratta la quota degli incentivi proporzionalmente percepiti in relazione alle operazioni di smaltimento de quibus, potrebbe integrare un tributo o, comunque, una surrettizia “prestazione patrimoniale imposta” (cfr. art. 23 Cost.):

- in assenza di una disposizione statale che stabilisca, in proposito, una corrispondente potestà tributaria regionale (artt. 117 comma 2, lett. e) e 119, comma 2, Cost. - arg. da Corte cost., n. 33 del 2012, § 5 e ss.);

- in carenza, comunque, di criteri oggettivi tali da integrare la riserva di legge relativa stabilita dall’art. 23 Cost. in relazione agli elementi essenziali della fattispecie impositiva (arg. da Corte cost. n. 83 del 2015, § 5 e ss.; n. 33 del 2012, § 5 e ss.).

16.2. Invero, premesso che una limitazione del rimborso dei costi vivi sopportati dal privato nell’esecuzione di attività di interesse pubblicistico ha, sul piano economico, il medesimo effetto di impoverimento patrimoniale conseguente all’imposizione di un versamento, il Collegio evidenzia che:

- le Regioni a statuto ordinario possono istituire tributi solo nelle ipotesi previste dalla legislazione statale (artt. 117, comma 2, lett. e) e 119, comma 2, Cost.);

- più in generale ed a prescindere dalla qualificazione tributaria della vicenda de qua, le prestazioni patrimoniali possono essere imposte solo sulla base di una previsione di legge (art. 23 Cost.), che sia rispettosa del più ampio tessuto valoriale stabilito in Costituzione e che, in particolare, rechi una sufficiente individuazione sia dei caratteri della prestazione imposta, sia dei criteri direttivi cui l’Amministrazione debba uniformarsi nella concreta enucleazione della prestazione stessa, al fine di evitare che il potere amministrativo trasmodi in sostanziale arbitrio.

16.3. Orbene, nella specie si tratta di stabilire se sia costituzionalmente legittima una disposizione di legge regionale che, in una materia in cui non è stata attribuita potestà tributaria alla Regione, determini in capo ad un privato gerente un servizio pubblico una, sia pure indiretta, deminutio patrimoniale senza una sufficiente indicazione dei caratteri, delle condizioni e dell’ampiezza di siffatta incisione patrimoniale.

16.4. Il Collegio, in proposito, evidenzia che:

- la considerazione, ai fini de quibus, degli “introiti” può implicarne la considerazione quale elemento indicatore di “capacità contributiva”, in difetto, come detto, di potestà tributaria in capo alla Regione;

- comunque, il computo disciplinato dalla disposizione regionale in parola è finalizzato a determinare la misura della tariffa gravante sugli utenti finali del servizio di gestione dei rifiuti, ad oggi disciplinata dalla l. n. 147 del 2013, artt. 639 e ss., avente, per chiaro dettato normativo e per consolidata giurisprudenza, natura tributaria (cfr. Cass., sez. un., ord. n. 11290 del 29 aprile 2021; sez. 5, ord. n. 17334 del 19 agosto 2020; sez. 5, n. 25524 del 10 ottobre 2019; sez. 5, n. 12979 del 15 maggio 2019; sez. 5, n. 22130 del 22 settembre 2017; arg. anche da Cass., sez. un., n. 8631 del 7 maggio 2020; nella giurisprudenza amministrativa, v. Cons. Stato, sez. IV, ord. n. 4035 del 24 giugno 2020; sez. IV, n. 3217 del 30 giugno 2017);

- ad ogni buon conto, la considerazione degli “introiti” quale elemento algebrico per così dire negativo nella quantificazione del rimborso spettante all’operatore ne incide autoritativamente la sfera patrimoniale, senza, tuttavia, che la disciplina regionale appresti una sufficiente indicazione dei caratteri e delle condizioni cui è subordinato il potere dell’Amministrazione di individuare la misura di siffatta incisione patrimoniale (in particolare, la modalità di computo di tali “introiti”).

17. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio:

- rigetta in parte i ricorsi riuniti, ai sensi e nei limiti di cui supra, sub §§ 6 - 9;

- solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 23 dicembre 2011, nella parte in cui comprende la dizione “e considerando anche gli introiti”, per i seguenti profili:

a) per possibile contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione;

b) per possibile contrasto con gli articoli 23, 117 comma 2, lett. e) e 119, comma 2, della Costituzione.

17.1. Ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio di Stato è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità.

17.2. Ai sensi dell’art. 23, quarto e quinto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente sentenza non definitiva sarà:

- comunicata alle parti costituite;

- notificata alla parte non costituita Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti – Atersir ed al Presidente della Giunta regionale della Regione Emilia-Romagna;

- comunicata al Presidente del Consiglio regionale della Regione Emilia-Romagna.

18. Il regolamento delle spese di lite è rinviato alla definizione della causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, dispone come segue:

- in parte li rigetta, ai sensi e nei limiti di cui in parte motiva;

- per il resto, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 23 dicembre 2011, nella parte in cui comprende la dizione “e considerando anche gli introiti”, nei termini di cui in motivazione;

- ordina altresì che, a cura della segreteria, la presente sentenza non definitiva sia comunicata alle parti costituite, notificata alla parte non costituita Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti – Atersir ed al Presidente della Giunta regionale della Regione Emilia-Romagna, nonché comunicata al Presidente del Consiglio regionale della Regione Emilia-Romagna;

- rimette il regolamento delle spese di lite alla definizione della causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2021, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Alessandro Verrico, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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