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TAR Lazio, Sez. II quater, 14/7/2021 n. 8381
Sul ricorso collettivo nel processo amministrativo

Ricorso alla modalità telematica nell'ambito di una procedura adottata in via di urgenza

Il ricorso collettivo nel processo amministrativo introduce una deroga al principio per il quale, di regola e in difetto di una disciplina concernente il litisconsorzio attivo, non sono cumulabili domande proposte da più persone, se non quando queste ultime condividano una posizione omogenea, che si rifletta nella pertinenza per ciascuna di esse dei motivi di doglianza, tale da escludere il conflitto di interessi.

Ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo, è necessario che i motivi siano comuni a tutte le parti, ovvero che essi riflettano congruamente la posizione che rende omogenee le domande cumulate soggettivamente, senza che, invece, la decisione assunta dal giudice su uno, o più motivi, possa favorire taluno e svantaggiare talaltro, generando un conflitto di interessi.

Nell'ambito di una procedura i cui caratteri di urgenza (imposti proprio dalle finalità della legge istitutiva) sono evidenti, il ricorso alla modalità telematica, anziché ad un esame parcellizzato di tutte le domande e ad uno scrutinio di esse posizione per posizione, appare soluzione calzante allo scopo, e non può che fondarsi su criteri di immediata evidenza, purché adeguati al caso di specie. Pertanto, l'impiego del codice ATECO abbinato alla partita Iva, nel caso di specie, rientra in quest'ultima categoria, poiché sono stati proprio i lavoratori, adottandolo in sede fiscale, a dichiarare che la propria attività prevalente attiene al servizio di guida e accompagnatore turistico, anziché a mansioni contigue, ma non pienamente coincidenti. Non è perciò pertinente il richiamo alla giurisprudenza maturata in sede di appalti pubblici, ove al codice ATECO si assegna un valore meramente orientativo in ordine alla sussistenza dei requisiti di partecipazione alla gara, poiché in quella sede è permessa un'indagine più approfondita sulle attività svolte dagli operatori economici, che una procedura informatica standardizzata non può assicurare, se non tradendo gli obiettivi di celerità desumibili dall'art. 182 del dl 34/20. Inoltre non irragionevole che il requisito di partecipazione debba essere posseduto ad una certa data (anteriore, come si è visto, al 23 febbraio 2020), sia perché ciò corrisponde ad un principio generale delle procedure pubbliche, sia perché, altrimenti, sarebbe incoraggiata l'elusione delle finalità perseguite quanto alla identificazione dei beneficiari, attraverso modifiche del codice ATECO mirate non già ad adeguarlo allo stato di fatto, ma esclusivamente a percepire il contributo pubblico.


Materia: giustizia amministrativa / processo

Pubblicato il 14/07/2021

 

N. 08381/2021 REG.PROV.COLL.

 

N. 11597/2020 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11597 del 2020, proposto da

Alessandro Turchi, Alice Bifarella, Ambra Galosi, Andrea Mola, Anna Papoutsaki, Burcu Satiroglu, Vilma Calzavara, Daniela Corriga, Daniela Aurelia Lina Villari, Daniele Montesi, Fulvio Bracciali, Giancarlo Giugno, Letteria Galletta, Loredana Pantano, Maria Luisa Di Carlo, Nina Kachmar, Sandro Bognolo, ) Christian Sapuppo, Silvia Simonelli, Alberto Grohovaz, Valeriu Popovici, Viktoria Sàgi, Gabriela Xiomara Colmenares, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Fianchino, Alberto Grasso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

contro

Ministero per i Beni e Le Attività Culturali e per il Turismo non costituito in giudizio;

Agenzia delle Entrate, Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Agenzia Nazionale per L'Attrazione degli Investimenti e Lo Sviluppo D'Impresa S.p.A. – Invitalia S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Lirosi, Marco Martinelli, Renato Giallombardo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

nei confronti

Katia Tovato non costituito in giudizio;

per l'annullamento

 

-del provvedimento implicito di esclusione e/o irricevibilità delle domande avanzate dagli odierni ricorrenti in seno al portale all'uopo dedicato ove veniva specificato che “il codice fiscale inserito non rispetta le condizioni di ammissibilità di cui all'art. 3 dell'Avviso”, nonché ove specificava che “partita Iva e codice fiscale non sono riconducibili allo stesso soggetto”;

 

- del Decreto n. 63 del 27 ottobre 2020 del Direttore Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo agli artt. 2, 3, lett. b e 5 punto 4 ove limitino la partecipazione dei ricorrenti alla procedura ed ove si fa riferimento, quali beneficiari dei ristori, ai soli titolari di partita IVA ricompresi “nell'elenco delle partite IVA ammissibili al contributo”, quest'ultimo elenco – il cui contenuto non è conosciuto - da ritenersi parimenti impugnato nella misura in cui non contenga le partite IVA dei ricorrenti;

 

- ove occorra, del Decreto Ministeriale n. 440, registrato alla Corte dei Conti il 13 ottobre 2020 e successivamente pubblicato;

 

- ove occorra, del Decreto pubblicato l'11 dicembre 2020 del Direttore Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo a mezzo del quale è stato approvato l'elenco dei soggetti beneficiari nella parte in cui non vengono contemplati gli odierni ricorrenti;

 

- di ogni ulteriore atto precedente, presupposto e connesso di cui gli odierni ricorrenti non abbiano conoscenza e lesivo del loro interesse;

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate e di Agenzia Nazionale per L'Attrazione degli Investimenti e Lo Sviluppo D'Impresa S.p.A. – Invitalia S.P.A e di Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e per il Turismo;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2021 il dott. Marco Bignami

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.I ricorrenti hanno partecipato alla procedura indetta con avviso pubblico del MIBACT n. 63 del 27 ottobre 2020, reso in esecuzione del DM 2 ottobre 2020, al fine di conseguire il contributo offerto, a causa dell’emergenza da Covid-19, sulla base dell’art. 182, comma 1, del dl n. 34 del 2020.

 

Tale disposizione stanzia una somma a favore, tra l’altro, di “guide e accompagnatori turistici”, demandando al DM il compito di stabilire modalità di ripartizione e assegnazione delle risorse, tenendo conto dell’impatto economico conseguente alla pandemia e alle misure di contenimento di essa.

 

Il DM 2 ottobre 2020 ha perciò previsto, per quel che qui importa, che il beneficio sia riservato alle persone titolari, tra l’altro, del codice ATECO 79.90.20 quale attività prevalente in data anteriore al 23 febbraio 2020, con una corrispondente partita IVA.

 

Il codice 79.90.20 identifica, infatti, l’attività delle guide e degli accompagnatori turistici, e viene perciò prescelto da chi intenda dedicarsi a tali servizi in via prevalente, con dichiarazione resa anche ai fini degli adempimenti fiscali.

 

La procedura, che è stata gestita direttamente dalla direzione generale del Ministero (art. 6 dell’avviso), si è svolta con modalità telematica, sulla base di una piattaforma ideata da Invitalia spa.

 

I ricorrenti dichiarano di esserne stati esclusi a seguito di un messaggio generato dal sistema, secondo il quale “il codice fiscale inserito non rispetta le condizioni di ammissibilità di cui all’art. 3 dell’avviso” e “ la partita iva e il codice fiscale non sono riconducibili allo stesso soggetto”.

 

2. Essi impugnano sia l’atto di esclusione, sia il DM, anche nella parte in cui tali atti hanno riservato la partecipazione ai titolari di codice ATECO 79.90.20 associato all’elenco delle partite IVA trasmesso dall’Agenzia delle entrate, nonché il decreto di assegnazione a terzi del contributo.

 

Ciò ha comportato la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di questi ultimi.

 

Va invece dichiarata la carenza di legittimazione passiva di Invitalia (le cui eccezioni in rito non saranno perciò esaminate), che quest’ultima ha eccepito, osservando di non avere assunto alcun atto nel procedimento pubblico di riparto delle risorse, se non l’attività materiale di predisposizione della piattaforma informatica.

 

4. Sempre in rito, va invece valutato il profilo di inammissibilità del ricorso collettivo segnalato alle parti dallo stesso Tribunale con ordinanza, alla luce della alterità delle posizioni giuridiche azionate e del conflitto di interessi.

 

Come è noto, il ricorso collettivo nel processo amministrativo introduce una deroga al principio per il quale, di regola e in difetto di una disciplina concernente il litisconsorzio attivo, non sono cumulabili domande proposte da più persone, se non quando queste ultime condividano una posizione omogenea, che si rifletta nella pertinenza per ciascuna di esse dei motivi di doglianza, tale da escludere il conflitto di interessi (Cons. Stato, sez. IV., n. 2341 del 2021).

 

Nel caso di specie, peraltro, al fine di valutare se ricorrono i presupposti per la deroga, lo scrutinio dovrà essere particolarmente attento, giacché l’odierno ricorso è cumulativo anche dal punto di vista oggettivo: non è infatti impugnato soltanto un atto plurimo (come per l’ipotesi del decreto di riparto del contributo), ma, in principalità, tanti atti di esclusione quanti sono i ricorrenti, benché ciascuno di tali atti, pur fondato su identica motivazione, attinga singolarmente, e potenzialmente in modo differenziato, la posizione delle parti.

 

Sul punto, può osservarsi che, nonostante venga lamentata la genericità e inintelligibilità della formula verbale con cui si è motivata l’esclusione dalla procedura, in realtà è il tenore stesso del ricorso a rendere evidente che le parti abbiano perfettamente compreso quale fosse la causa dell’atto, atteso che le censure vertono esclusivamente sul dichiarato possesso, da parte dei ricorrenti, delle condizioni sostanziali di partecipazione, quanto all’esercizio della professione di guida turistica.

 

A tale profilo sono perciò dedicati i motivi di ricorso.

 

5. Ciò detto, si è già osservato che, ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo, è necessario che tali motivi siano comuni a tutte le parti, ovvero che essi riflettano congruamente la posizione che rende omogenee le domande cumulate soggettivamente, senza che, invece, la decisione assunta dal giudice su uno, o più motivi, possa favorire taluno e svantaggiare talaltro, generando un conflitto di interessi.

 

Il ricorso è incentrato sulla contestazione di “un meccanismo automatico di selezione che ha enfatizzato la portata escludente del codice ATECO a discapito della valorizzazione della reale posizione soggettiva di ciascun istante (censura sub e), “per come comprovata dalle relative dichiarazioni dei redditi e dalle fatture” (censura sub f), al punto che viene suggerita una interpretazione dell’avviso pubblico, nel senso che esso ammettesse un’autocertificazione della condizione professionale “più stringente rispetto al mero dato formale dell’indicazione del codice ATECO” (censura sub d).

 

Allo stesso tempo, con le memorie svolte in corso di causa all’esito dell’attività istruttoria disposta dal Tribunale (rivolta alla Agenzia delle entrate, che era tenuta a trasmettere al MIBACT l’elenco dei professionisti aventi partita Iva associata a tale codice). i ricorrenti hanno sostenuto di essere in possesso anche formalmente del codice ATECO 79.90.20, se del caso a seguito di variazione di esso in corso di procedura.

 

6. Tale opacità si spiega proprio alla luce della scelta di tenere processualmente unite, con identici motivi, posizioni che sono, in realtà, nettamente divaricate.

 

Un primo gruppo di ricorrenti (secondo le indicazioni provenienti dall’istruttoria e dalla relazione dell’Agenzia delle entrate) può rivendicare che il proprio nominativo è stato trasmesso al MIBACT, in quanto i suoi componenti sono stati ritenuti in possesso del codice ATECO 79.90.20, quale attività prevalente in data anteriore al 23 febbraio 2020. Queste persone hanno perciò interesse a sostenere che fosse la titolarità del codice, per come attestata dall’Agenzia delle entrate, a garantire l’erogazione del contributo, e non già l’effettivo esercizio della professione di guida turistica, da reputarsi prevalente sulla base della dichiarazione dei redditi e delle fatture. In tal modo, esse si pongono in conflitto di interessi con gli altri gruppi tra i quali i ricorrenti sono stati ripartiti, perché l’ammissione al contributo di persone prive del requisito formale ridurrebbe l’importo spettante a ciascuno.

 

7. Infatti, un secondo gruppo di ricorrenti, secondo la relazione dell’Agenzia delle entrate, è stato escluso, perché avrebbe operato la variazione del codice ATECO dopo che l’elenco dei titolati era già stato trasmesso al MIBACT, ovvero persino, per alcuni, dopo il termine di presentazione della domanda.

 

Per tali persone, appare invece congrua una linea di difesa incentrata sulla contestazione della legittimità del requisito di titolarità al 22 febbraio 2020 del codice ATECO, quale attività prevalente associata ad una partita IVA, secondo l’elenco trasmesso dall’Agenzia delle entrate (e senza che possa avere significato la variazione ex post).

 

Difatti, solo in linea subordinata per costoro viene invece in rilievo il tema della titolarità del codice ATECO, quale legittimo requisito di ammissione alla procedura, non già sulla base dello stato dichiarativo vigente al 22 febbraio 2020 in associazione alla partita IVA quale attività prevalente, ma per effetto di una variazione successiva che sarebbe stata operata in corso di procedura, e con la quale essi avrebbero guadagnato il requisito richiesto (per parte ricorrente, in taluni casi con variazione intervenuta entro il 3 dicembre 2020, in talaltri, con variazione che l’agenzia delle entrate reputa tardiva, in quanto non comunicata in riferimento alla partita IVA, ma di cui si sostiene invece la tempestività da parte dei ricorrenti, perché operata allineando nel cassetto fiscale la prevalenza del codice ATECO alla dichiarazione dei redditi).

 

8. Infine, per un terzo gruppo di ricorrenti l’Agenzia delle entrate rileva la carenza del codice ATECO, e l’omessa variazione in corso di procedura del codice già dichiarato come prevalente.

 

In questo caso, parte ricorrente ha specificato che una di queste persone avrebbe avuto due codici ATECO, con prevalenza però di quello differente dal 79.90.20, e non sarebbe stata tenuta ad alcuna comunicazione sulla variazione della prevalenza (come si ricaverebbe dalla prescrizione allegata al modello AA9, con la quale si effettua la comunicazione alla Agenzia delle entrate).

 

Tale argomento comporta perciò che questo ricorrente avrebbe dovuto essere ritenuto titolare del requisito del codice ATECO 79.90.20 alla data del 22 febbraio 2020, senza necessità di variazione, con la conseguenza che le censure mosse per contestare la legittimità del predetto requisito sarebbero incongrue e in conflitto di interesse con la posizione rivestita dagli altri due componenti del medesimo gruppo (oltre che con quella dei componenti del secondo gruppo), che invece sono privi del codice ATECO 79.90.20 associato alla partita IVA comunicata all’Agenzia delle entrate, e si limitano a rivendicare di avere nella sostanza svolto prevalente attività di guida turistica, indicando il codice ATECO predetto nella dichiarazione dei redditi.

 

9. Nel complesso, l’estrema disomogeneità delle posizioni rivendicate dai gruppi di ricorrenti, rispetto ai motivi di ricorso, rende palese la carenza del requisito di ammissibilità del ricorso collettivo.

 

10. Il Tribunale reputa peraltro opportuno sottolineare che, in ogni caso, non sarebbe dubbia né la legittimità della scelta di valorizzare il codice ATECO in quanto collegato ad una partita IVA, né la prescrizione che tale requisito emerga formalmente entro la data del 22 febbraio 2020, e non possa essere recuperato in seguito, per mezzo di qualsivoglia genere di variazione.

 

9. Difatti, il DM 2 ottobre 2020, nel conferire attuazione all’art. 182 del dl 34/20, ha non irragionevolmente adottato il criterio del pertinente codice ATECO al fine di selezionare guide e accompagnatori turistici, posto che tale codice inerisce proprio a tale attività lavorativa.

 

Nell’ambito di una procedura i cui caratteri di urgenza (imposti proprio dalle finalità della legge istitutiva) sono evidenti, il ricorso alla modalità telematica, anziché ad un esame parcellizzato di tutte le domande e ad uno scrutinio di esse posizione per posizione, appare soluzione calzante allo scopo, e non può che fondarsi su criteri di immediata evidenza, purché adeguati al caso di specie.

 

L’impiego del codice ATECO abbinato alla partita Iva rientra in quest’ultima categoria, poiché sono stati proprio i lavoratori, adottandolo in sede fiscale, a dichiarare che la propria attività prevalente attiene al servizio di guida e accompagnatore turistico, anziché a mansioni contigue, ma non pienamente coincidenti.

 

Non è perciò pertinente il richiamo alla giurisprudenza maturata in sede di appalti pubblici, ove al codice ATECO si assegna un valore meramente orientativo in ordine alla sussistenza dei requisiti di partecipazione alla gara, poiché in quella sede è permessa un’indagine più approfondita sulle attività svolte dagli operatori economici, che una procedura informatica standardizzata non può assicurare, se non tradendo gli obiettivi di celerità desumibili dall’art. 182 del dl 34/20.

 

Va aggiunto che appare altresì non irragionevole che il requisito di partecipazione debba essere posseduto ad una certa data (anteriore, come si è visto, al 23 febbraio 2020), sia perché ciò corrisponde ad un principio generale delle procedure pubbliche, sia perché, altrimenti, sarebbe incoraggiata l’elusione delle finalità perseguite quanto alla identificazione dei beneficiari, attraverso modifiche del codice ATECO mirate non già ad adeguarlo allo stato di fatto, ma esclusivamente a percepire il contributo pubblico.

 

10. Il ricorso va in definitiva dichiarato inammissibile.

 

11. La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese tra tutte le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile il ricorso.

Dichiara la carenza di legittimazione passiva di Invitalia spa.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2021 tenutasi da remoto ex art. 25 dl 137/20 con l'intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente

Floriana Rizzetto, Consigliere

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

Marco Bignami                      Donatella Scala

                       

IL SEGRETARIO

 

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