HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Corte di giustizia europea, Sez. II, 7/3/2024 n. C-558/22
Sulla conformità alle norme e ai principi dell'Ue della disciplina italiana in materia di importazione di energia da fonti non rinnovabili

Gli articoli 28, 30 e 110 TFUE devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a una misura nazionale che, da un lato, obbliga gli importatori di energia elettrica proveniente da un altro Stato membro, che non dimostrano che tale energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili presentando garanzie di origine, ad acquistare presso produttori nazionali certificati di attestazione dell'origine rinnovabile o energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili in proporzione al quantitativo di energia elettrica che importano, e, dall'altro, prevede l'irrogazione di una sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo, mentre i produttori nazionali di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili non sono tenuti ad un siffatto obbligo di acquisto.
L'articolo 34 TFUE nonché la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, e la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a tale misura nazionale qualora si accerti che essa non eccede quanto necessario per raggiungere l'obiettivo di aumento della produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
Gli articoli 107 e 108 TFUE devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a detta misura nazionale, purché la differenza di trattamento tra i produttori nazionali di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e gli importatori di energia elettrica che non presentano alcuna garanzia di origine sia giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema di riferimento del quale essa fa parte.


Materia: energia / disciplina

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

 

7 marzo 2024 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Regime nazionale di sostegno che prevede la concessione di certificati verdi negoziabili ai produttori nazionali di elettricità da fonti rinnovabili – Importazione di elettricità prodotta da fonti rinnovabili in un altro Stato membro – Obbligo di acquisto di certificati verdi – Sanzione – Esenzione – Direttiva 2001/77/CE – Direttiva 2009/28/CE – Regime di sostegno – Garanzie di origine – Libera circolazione delle merci – Articoli 18, 28, 30, 34 e 110 TFUE – Aiuti di Stato – Articoli 107 e 108 TFUE – Risorse statali – Vantaggio selettivo»

 

Nella causa C-558/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 16 agosto 2022, pervenuta in cancelleria il 19 agosto 2022, nel procedimento

 

Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA)

 

contro

Fallimento Esperia SpA,

Gestore dei Servizi Energetici SpA – GSE,

 

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, F. Biltgen, N. Wahl, J. Passer e M.L. Arastey Sahún, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

        per la Fallimento Esperia SpA, da U. Grella e F.M. Salerno, avvocati,

        per la Gestore dei Servizi Energetici SpA – GSE, da S. Fidanzia e A. Gigliola, avvocati,

        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da D. Del Gaizo e F. Tortora, avvocati dello Stato,

        per la Commissione europea, da B. De Meester, G. Gattinara e F. Tomat, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 28, 30, 34, 107, 108 e 110 TFUE nonché della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (GU 2009, L 140, pag. 6).

 

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) (Italia) (in prosieguo: l’«ARERA») e, dall’altro, la Fallimento Esperia SpA, una società in fallimento, e il Gestore dei Servizi Energetici SpA – GSE (in prosieguo: il «GSE»), in merito all’imposizione di una sanzione pecuniaria alla Fallimento Esperia per inadempimento dell’obbligo di acquisto di certificati di attestazione dell’origine rinnovabile (in prosieguo: i «certificati verdi») per l’energia elettrica importata in Italia nel corso del 2010.

 

 Contesto normativo

 

 Diritto dell’Unione

 

 Direttiva 2001/77/CE

 

3        La direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità (GU 2001, L 283, pag. 33), è stata abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2012, dalla direttiva 2009/28. Quest’ultima, a sua volta, è stata abrogata, a decorrere dal 1° luglio 2021 dalla direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (GU 2018, L 328, pag. 82).

 

4        I considerando 10, 11, 14 e 15 della direttiva 2001/77 erano così formulati:

 

«(10)      La presente direttiva non impone agli Stati membri di riconoscere l’acquisizione di una garanzia d’origine da altri Stati membri o il corrispondente acquisto di elettricità quale contributo all’adempimento di un obbligo nazionale in materia di quote. Tuttavia al fine di promuovere gli scambi di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili ed aumentare la trasparenza per facilitare la scelta dei consumatori tra elettricità prodotta da fonti energetiche non rinnovabili ed elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, la garanzia di origine di tale tipo di elettricità è necessaria. I regimi di garanzia d’origine, di per sé, non implicano il diritto di beneficiare dei meccanismi nazionali di sostegno istituiti nei vari Stati membri. È importante che la garanzia di origine copra tutte le forme di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

 

(11)      È importante operare una chiara distinzione tra le garanzie di origine e i certificati verdi scambiabili.

 

(...)

 

(14)      Gli Stati membri applicano meccanismi diversi di sostegno delle fonti energetiche rinnovabili a livello nazionale, ivi compresi i certificati verdi, aiuti agli investimenti, esenzioni o sgravi fiscali, restituzioni d’imposta e regimi di sostegno diretto dei prezzi. Un importante mezzo per conseguire l’obiettivo della presente direttiva consiste nel garantire il buon funzionamento di questi meccanismi fino all’introduzione di un quadro comunitario allo scopo di mantenere la fiducia degli investitori.

 

(15)      È prematuro istituire un quadro comunitario per i regimi di sostegno, data l’esperienza limitata maturata con i regimi nazionali e la percentuale relativamente bassa di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili che beneficia attualmente nella Comunità di un sostegno dei prezzi».

 

5        L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Finalità», prevedeva quanto segue:

 

«La presente direttiva mira a promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato interno e a creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia».

 

6        L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Obiettivi indicativi nazionali», ai paragrafi 1 e 2 così disponeva:

 

«(1)      Gli Stati membri adottano misure appropriate atte a promuovere l’aumento del consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili perseguendo gli obiettivi indicativi nazionali di cui al paragrafo 2. Tali misure devono essere proporzionate all’obiettivo.

 

2.      Entro il 27 ottobre 2002, e successivamente ogni cinque anni, gli Stati membri adottano e pubblicano una relazione che stabilisce per i dieci anni successivi gli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili in termini di percentuale del consumo di elettricità. Tale relazione delinea inoltre le misure adottate o previste a livello nazionale per conseguire tali obiettivi. Per fissare gli obiettivi sino al 2010 gli Stati membri:

 

        tengono conto dei valori di riferimento riportati nell’allegato,

 

        provvedono affinché gli obiettivi siano compatibili con gli impegni nazionali assunti nell’ambito degli impegni sui cambiamenti climatici sottoscritti dalla Comunità ai sensi del protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici».

 

7        L’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Regimi di sostegno», prevedeva quanto segue:

 

«Nel rispetto degli articoli 87 e 88 del trattato [[(divenuti articoli 107 e 108 TFUE)], la Commissione [europea] valuta l’applicazione dei meccanismi utilizzati negli Stati membri attraverso i quali un produttore di elettricità, in base a una normativa emanata da autorità pubbliche, percepisce, direttamente o indirettamente, un sostegno e che potrebbero avere un effetto restrittivo sugli scambi, tenendo conto che essi contribuiscono a perseguire gli obiettivi stabiliti negli articoli 6 e 174 del trattato».

 

8        L’articolo 5 della direttiva 2001/77, recante il titolo «Garanzia di origine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili», disponeva quanto segue, ai suoi paragrafi da 1 a 5:

 

«(1)      Entro il 27 ottobre 2003 gli Stati membri fanno sì che l’origine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia garantita come tale ai sensi della presente direttiva, secondo criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori stabiliti da ciascuno Stato membro. Essi prevedono il rilascio su richiesta di garanzie di origine in tal senso.

 

2.      Gli Stati membri possono designare uno o più organi competenti, indipendenti dalle attività di produzione e distribuzione, incaricati di sovrintendere al rilascio delle garanzie di origine.

 

3.      Le garanzie di origine:

 

        specificano la fonte energetica da cui è stata prodotta l’elettricità, specificano le date e i luoghi di produzione e, nel caso delle centrali idroelettriche, indicano la capacità,

 

        consentono ai produttori di elettricità che utilizzano fonti energetiche rinnovabili di dimostrare che l’elettricità da essi venduta è prodotta da fonti energetiche rinnovabili ai sensi della presente direttiva.

 

4.      Tali garanzie di origine rilasciate a norma del paragrafo 2 sono reciprocamente riconosciute dagli Stati membri esclusivamente come prova degli elementi di cui al paragrafo 3. Un eventuale mancato riconoscimento della garanzia di origine quale prova in questo senso, in particolare per ragioni connesse con la prevenzione delle frodi, deve essere fondato su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. In caso di mancato riconoscimento di una garanzia di origine la Commissione può obbligare la parte che oppone il rifiuto a riconoscere la garanzia di origine, in particolare riguardo ai criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori sui quali è basato il riconoscimento.

 

5.      Gli Stati membri o gli organi competenti istituiscono meccanismi appropriati per assicurare che la garanzia di origine sia accurata e affidabile e descrivono sommariamente, nella relazione di cui all’articolo 3, paragrafo 3, le misure adottate per garantire l’affidabilità del sistema di garanzia».

 

 Direttiva 2009/28

 

9        I considerando 25, 52 e 56 della direttiva 2009/28 erano così formulati:

 

«(25)      Gli Stati membri hanno potenziali diversi in materia di energia rinnovabile e diversi regimi di sostegno all’energia da fonti rinnovabili a livello nazionale. La maggioranza degli Stati membri applica regimi di sostegno che accordano sussidi solo all’energia da fonti rinnovabili prodotta sul loro territorio. Per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali. Uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo fissato dalla presente direttiva consiste nel garantire il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali, come previsto dalla direttiva 2001/77/CE, al fine di mantenere la fiducia degli investitori e permettere agli Stati membri di elaborare misure nazionali efficaci per conformarsi al suddetto obiettivo. La presente direttiva mira ad agevolare il sostegno transfrontaliero all’energia da fonti rinnovabili senza compromettere i regimi di sostegno nazionali. Introduce meccanismi facoltativi di cooperazione tra Stati membri che consentono loro di decidere in che misura uno Stato membro sostiene la produzione di energia in un altro e in che misura la produzione di energia da fonti rinnovabili dovrebbe essere computata ai fini dell’obiettivo nazionale generale dell’uno o dell’altro. Per garantire l’efficacia delle due misure per il conseguimento degli obiettivi, ossia i regimi di sostegno nazionali e i meccanismi di cooperazione, è essenziale che gli Stati membri siano in grado di determinare se e in quale misura i loro regimi nazionali di sostegno si applicano all’energia da fonti rinnovabili prodotta in altri Stati membri e di concordare tale sostegno applicando i meccanismi di cooperazione previsti dalla presente direttiva.

 

(...)

 

(52)      Le garanzie di origine, rilasciate ai fini della presente direttiva, hanno unicamente la funzione di provare al cliente finale che una determinata quota o quantità di energia è stata prodotta da fonti energetiche rinnovabili. (...) È importante operare una distinzione tra i certificati verdi utilizzati per i regimi di sostegno e le garanzie di origine.

 

(...)

 

(56)      Le garanzie di origine non conferiscono di per sé il diritto di beneficiare di regimi di sostegno nazionali».

 

10      L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Oggetto e ambito di applicazione», così recitava:

 

«La presente direttiva stabilisce un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili. Fissa obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. Detta norme relative ai trasferimenti statistici tra gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative, all’informazione e alla formazione nonché all’accesso alla rete elettrica per l’energia da fonti rinnovabili. Fissa criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi».

 

11      L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», prevedeva quanto segue:

 

«Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni della direttiva 2003/54/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE (GU 2003, L 176, pag. 37)].

 

Si applicano inoltre le seguenti definizioni:

 

(...)

 

j)      “garanzia di origine”: documento elettronico che serve esclusivamente a provare ad un cliente finale che una determinata quota o un determinato quantitativo di energia sono stati prodotti da fonti rinnovabili come previsto all’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 2003/54/CE;

 

k)      “regime di sostegno”: strumento, regime o meccanismo applicato da uno Stato membro o gruppo di Stati membri, inteso a promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o altri mezzi, il volume acquistato di dette energie. Ciò comprende, ma non in via esclusiva, le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli sgravi fiscali, le restituzioni d’imposta, i regimi di sostegno all’obbligo in materia di energie rinnovabili, compresi quelli che usano certificati verdi, e i regimi di sostegno diretto dei prezzi, ivi comprese le tariffe di riacquisto e le sovvenzioni;

 

l)      “obbligo in materia di energie rinnovabili”: regime di sostegno nazionale che obbliga i produttori di energia a includere una determinata quota di energia da fonti rinnovabili nella loro produzione, che obbliga i fornitori di energia a includere una determinata quota di energia da fonti rinnovabili nella loro offerta o che obbliga i consumatori di energia a includere una determinata quota di energia da fonti rinnovabili nei loro consumi. Ciò comprende i regimi nei quali tali obblighi possono essere soddisfatti mediante l’uso di certificati verdi;

 

(...)».

 

12      L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Obiettivi e misure nazionali generali obbligatori per l’uso dell’energia da fonti rinnovabili», così disponeva, ai suoi paragrafi da 1 a 4:

 

«1.      Ogni Stato membro assicura che la propria quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia nel 2020, calcolata conformemente agli articoli da 5 a 11, sia almeno pari al proprio obiettivo nazionale generale per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2020, indicato nella terza colonna della tabella all’allegato I, parte A. Tali obiettivi nazionali generali obbligatori sono coerenti con l’obiettivo di una quota pari almeno al 20% di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia della Comunità nel 2020. Al fine di conseguire più facilmente gli obiettivi fissati nel presente articolo, ogni Stato membro promuove e incoraggia l’efficienza ed il risparmio energetici.

 

2.      Gli Stati membri adottano misure efficacemente predisposte per assicurare che la propria quota di energia da fonti rinnovabili sia uguale o superiore alla quota indicata nella traiettoria indicativa di cui all’allegato I, parte B.

 

3.      Per il conseguimento degli obiettivi di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, gli Stati membri possono, tra l’altro, applicare le seguenti misure:

 

a)      regimi di sostegno;

 

b)      misure di cooperazione tra vari Stati membri e con paesi terzi per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi nazionali generali in conformità degli articoli da 5 a 11.

 

Fatti salvi gli articoli 87 e 88 del trattato [divenuti articoli 107 e 108 TFUE], gli Stati membri hanno il diritto di decidere, conformemente agli articoli da 5 a 11 della presente direttiva, in che misura sostenere l’energia da fonti rinnovabili prodotta in un altro Stato membro.

 

4.      Ogni Stato membro assicura che la propria quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto nel 2020 sia almeno pari al 10% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti nello Stato membro».

 

13      L’articolo 15 della direttiva 2009/28, rubricato «Garanzie di origine dell’elettricità, del calore e del freddo prodotti da fonti energetiche rinnovabili», recitava:

 

«1.      Per provare ai clienti finali la quota o la quantità di energia da fonti rinnovabili nel mix energetico di un fornitore di energia, in conformità dell’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 2003/54/CE, gli Stati membri assicurano che l’origine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia garantita come tale ai sensi della presente direttiva, in base a criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori.

 

(...)

 

9.      Gli Stati membri riconoscono le garanzie di origine rilasciate da altri Stati membri conformemente alla presente direttiva esclusivamente come prova degli elementi di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 6, lettere da a) a f). (...)».

 

14      L’articolo 26 di tale direttiva, intitolato «Modifiche e abrogazioni», prevedeva quanto segue:

 

«1.      L’articolo 2, l’articolo 3, paragrafo 2, e gli articoli da 4 a 8 della direttiva 2001/77/CE sono abrogati a decorrere dal 1° aprile 2010.

 

(...)

 

3.      Le direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 maggio 2003, sulla promozione dell’uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti (GU 2003, L 123, pag. 42)] sono abrogate a decorrere dal 1º gennaio 2012».

 

15      A norma dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2009/28:

 

«Fatto salvo l’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 5 dicembre 2010».

 

 Diritto italiano

 

 Decreto legislativo n. 79/1999

 

16      Al fine di incoraggiare l’uso di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (in prosieguo: l’«elettricità verde»), la Repubblica italiana ha adottato il decreto legislativo del 16 marzo 1999, n. 79 – Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica (GURI n. 75 del 31 marzo 1999; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 79/1999»).

 

17      Tale decreto legislativo ha istituito un regime di sostegno alla produzione di elettricità verde basato, in particolare, sull’attribuzione gratuita di certificati verdi a qualsiasi produttore italiano di elettricità verde proporzionalmente all’elettricità verde prodotta.

 

18      L’articolo 11 di detto decreto così disponeva:

 

«(1.)      Al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto.

 

2.      L’obbligo di cui al comma 1 si applica alle importazioni e alle produzioni di energia elettrica, al netto della cogenerazione, degli autoconsumi di centrale e delle esportazioni, eccedenti i 100 GWh; la quota di cui al comma 1 è inizialmente stabilita nel due per cento della suddetta energia eccedente i 100 GWh.

 

3.      Gli stessi soggetti possono adempiere al suddetto obbligo anche acquistando, in tutto o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti da altri produttori, purché immettano l’energia da fonti rinnovabili nel sistema elettrico nazionale, o dal gestore della rete di trasmissione nazionale. I diritti relativi agli impianti di cui all’articolo 3, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481 sono attribuiti al [Gestore della rete di trasmissione nazionale, divenuto il GSE]. (...) Il [GSE], al fine di compensare le fluttuazioni produttive annuali o l’offerta insufficiente, può acquistare e vendere diritti di produzione da fonti rinnovabili, prescindendo dalla effettiva disponibilità, con l’obbligo di compensare su base triennale le eventuali emissioni di diritti in assenza di disponibilità può acquistare o vendere diritti di produzione da fonti rinnovabili, indipendentemente dalla disponibilità effettiva, con l’obbligo di compensare su base triennale le eventuali emissioni di diritti in assenza di disponibilità».

 

19      Tale acquisto da parte del GSE di diritti di produzione da fonti rinnovabili, denominati anche «certificati verdi», veniva effettuato utilizzando il prodotto della componente tariffaria A3 versata dai consumatori di energia elettrica sulla loro fattura.

 

 Decreto legislativo n. 387/2003

 

20      Dall’articolo 4 del decreto legislativo del 29 dicembre 2003, n. 387 – Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità (supplemento ordinario alla GURI n. 25 del 31 gennaio 2004; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 387/2003»), risulta che spettava al gestore della rete di trasmissione nazionale, divenuto il GSE, verificare il rispetto dell’obbligo previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 79/1999 e informare degli eventuali inadempimenti l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, divenuta l’ARERA, che, in tal caso, era competente ad imporre le sanzioni previste dalla legge del 14 novembre 1995, n. 481 – Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (supplemento ordinario alla GURI n. 270 del 18 novembre 1995).

 

21      L’articolo 11, comma 6, del decreto legislativo n. 387/2003 era formulato come segue:

 

«La garanzia di origine riporta l’ubicazione dell’impianto, la fonte energetica rinnovabile da cui è stata prodotta l’elettricità, la tecnologia utilizzata, la potenza nominale dell’impianto, la produzione netta di energia elettrica, ovvero, nel caso di centrali ibride, la produzione imputabile, riferite a ciascun anno solare. (...)».

 

22      L’articolo 20, comma 3, di tale decreto così disponeva:

 

«I soggetti che importano energia elettrica da Stati membri dell’Unione europea, sottoposti all’obbligo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo [n. 79/1999], possono richiedere al Gestore della rete, relativamente alla quota di elettricità importata prodotta da fonti rinnovabili, l’esenzione dal medesimo obbligo. La richiesta è corredata almeno da copia conforme della garanzia di origine rilasciata, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2001/77/CE, nel Paese ove è ubicato l’impianto di produzione. (...)».

 

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

 

23      La Esperia SpA era una società che importava energia elettrica in Italia per consentirne la vendita all’ingrosso o al dettaglio.

 

24      Con decisione del 28 giugno 2016, l’ARERA le ha inflitto una sanzione pecuniaria di importo pari a EUR 2 803 500 per non aver adempiuto al suo obbligo di acquistare 17 753 certificati verdi per l’energia elettrica da essa importata in Italia nel corso del 2010.

 

25      L’Esperia ha contestato tale sanzione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Italia). Dopo la presentazione del ricorso, tale società è stata dichiarata fallita ed è da allora denominata Fallimento Esperia. Il curatore fallimentare della Fallimento Esperia ha tuttavia mantenuto detto ricorso dinanzi a tale giudice.

 

26      Con sentenza dell’8 agosto 2018, detto giudice ha parzialmente accolto il ricorso della Fallimento Esperia ritenendo che l’importo della sanzione inflittale fosse eccessivo. La ARERA e la Fallimento Esperia hanno impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio.

 

27      Il procedimento dinanzi a quest’ultimo giudice è stato sospeso in seguito alla presentazione, il 3 settembre 2019, di una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte nella causa Axpo Trading, anch’essa pendente dinanzi al giudice del rinvio. Tale domanda è stata registrata presso la cancelleria della Corte con il numero C-705/19.

 

28      Dopo la presentazione, il 3 dicembre 2020, delle conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Axpo Trading (C-705/19, EU:C:2020:989), l’Axpo Trading ha rinunciato al procedimento dinanzi al giudice del rinvio e tale causa è stata cancellata dal ruolo con ordinanza del 9 settembre 2021, Axpo Trading (C-705/19, EU:C:2021:755).

 

29      Il procedimento dinanzi al giudice del rinvio nella causa principale è quindi ripreso.

 

30      Dinanzi a detto giudice, la Fallimento Esperia ha espresso dubbi quanto alla compatibilità rispetto al diritto dell’Unione della normativa italiana che impone alle imprese che importano energia elettrica senza aver presentato garanzie di origine l’obbligo, a pena di sanzione, di acquistare elettricità verde o certificati verdi, obbligo che non si applica ai produttori nazionali di tale energia. Secondo tale società, tale normativa potrebbe essere considerata costitutiva di un aiuto di Stato a favore dei produttori di energia verde che operano in Italia, di una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale e di una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione. Dal canto suo, il GSE ritiene che la normativa italiana di cui trattasi nel procedimento principale sia conforme alla direttiva 2001/77.

 

31      Il giudice del rinvio fa riferimento alle conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Axpo Trading (C-705/19, EU:C:2020:989) e alla propria domanda di pronuncia pregiudiziale in detta causa.

 

32      In tale domanda, esso spiegava in particolare che il regime italiano di sostegno all’elettricità verde gli sembrava compatibile con le norme del Trattato FUE in materia di aiuti di Stato. Infatti, nessuna risorsa statale sarebbe mobilizzata da tale regime. Non vi sarebbe trasferimento diretto o indiretto di risorse pubbliche a favore dei produttori di energia verde operanti in Italia. In ogni caso, detto regime sarebbe conforme, da un lato, alla direttiva 2009/28, che fissa obiettivi nazionali in materia di energia verde e che favorisce le misure degli Stati membri che sostengono esclusivamente i produttori di energia pulita stabiliti sul loro territorio e, dall’altro, all’obiettivo di tutela dell’ambiente. Del pari, la misura di sostegno di cui trattasi non potrebbe essere considerata selettiva, in quanto il sistema di riferimento istituito dalla direttiva 2009/28 sarebbe di per sé e volontariamente selettivo poiché avrebbe lo scopo di privilegiare la produzione di energia verde in ciascuno Stato membro.

 

33      Peraltro, secondo il giudice del rinvio, alla luce di tale obiettivo della direttiva 2009/28, tale regime non istituirebbe né una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale né una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa imponendo agli importatori di energia prodotta all’estero di acquistare certificati verdi. Detto regime riserverebbe agli enti operanti in Italia il beneficio di un sostegno al fine di conformarsi agli obiettivi nazionali obbligatori relativi alla quota di energia prodotta da fonti rinnovabili sul consumo finale fissato dalla direttiva 2009/28, senza che gli importatori di energia pulita prodotta in un altro Stato membro siano soggetti a un obbligo o incontrino ostacoli.

 

34      Infine, il giudice del rinvio ritiene che il medesimo regime sia conforme agli articoli 18 e 110 TFUE, in quanto riserva lo stesso trattamento a tutti gli operatori del settore elettrico che immettono nella rete nazionale energia non prodotta da una fonte rinnovabile italiana.

 

35      Ciò nondimeno, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«Se

 

      l’articolo 18 TFUE, nella parte in cui vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nel campo di applicazione dei Trattati;

 

      gli articoli 28 e 30 TFUE, nella parte in cui dispongono l’abolizione dei dazi doganali sulle importazioni e misure aventi effetto equivalente;

 

      l’articolo 110 TFUE, nella parte in cui vieta imposizioni fiscali sulle importazioni superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari;

 

      l’articolo 34 TFUE, nella parte in cui vieta l’adozione di misure aventi effetto equivalente a restrizioni quantitative sulle importazioni;

 

      gli articoli 107 e 108 TFUE, nella parte in cui vietano di dare esecuzione ad una misura di aiuto di Stato non notificata alla Commissione ed incompatibile con il mercato interno;

 

      la direttiva 2009/28/CE, nella parte in cui si prefigge di favorire il commercio intra-comunitario di elettricità verde favorendo, altresì, la promozione delle capacità produttive dei singoli Stati membri,

 

ostino a una legge nazionale quale quella [descritta nella domanda di pronuncia pregiudiziale,] che imponga agli importatori di elettricità verde un onere pecuniario non applicabile ai produttori nazionali del medesimo prodotto».

 

 Sulla questione pregiudiziale

 

 Osservazioni preliminari

 

36      In primo luogo, occorre rilevare che il diritto italiano applicabile ai fatti del procedimento principale prevedeva, ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 79/1999, una misura che obbligava gli importatori di energia elettrica proveniente da un altro Stato membro che non dimostravano che essa fosse verde presentando garanzie di origine ad acquistare elettricità verde o certificati verdi presso produttori nazionali in funzione della quantità di energia elettrica da essi importata, pena l’irrogazione di una sanzione.

 

37      In secondo luogo, tale misura, oggetto della presente questione pregiudiziale, rientra nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di elettricità verde che obbliga gli importatori e gli operatori responsabili degli impianti che importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili ad immettere una quota di elettricità verde nella rete elettrica nazionale su base annua. Al fine di adempiere tale obbligo, detto regime prevede che detti importatori e operatori possano o produrre essi stessi elettricità verde, oppure acquistare presso produttori nazionali elettricità verde o certificati verdi. Peraltro, sempre secondo detto regime, le autorità nazionali rilasciano tali certificati gratuitamente ai produttori nazionali di elettricità verde in funzione della quantità di elettricità verde che essi producono al fine di poterli rivendere ai produttori e agli importatori tenuti a detto obbligo.

 

38      In terzo luogo, occorre altresì sottolineare che le importazioni di energia elettrica oggetto della controversia principale sono state effettuate nel corso del 2010, di modo che esse possono essere disciplinate tanto dalla direttiva 2001/77 quanto dalla direttiva 2009/28. Infatti, come risulta dall’articolo 26 della direttiva 2009/28, l’articolo 2, l’articolo 3, paragrafo 2, e gli articoli da 4 a 8 della direttiva 2001/77 sono stati abrogati a decorrere dal 1° aprile 2010, mentre le altre disposizioni di tale direttiva sono state abrogate con l’abrogazione di quest’ultima, a partire dal 1° gennaio 2012. Inoltre, conformemente al suo articolo 27, paragrafo 1, la direttiva 2009/28 doveva essere trasposta entro il 5 dicembre 2010.

 

39      In quarto luogo, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che l’articolo 18 TFUE, che sancisce il principio generale del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità, è destinato ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali il Trattato FUE non stabilisca divieti specifici di discriminazione (sentenza del 10 ottobre 2019, Krah, C-703/17, EU:C:2019:850, punto 19 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, nel settore della libera circolazione delle merci, il principio di non discriminazione è attuato dagli articoli 28, 30, 34 e 110 TFUE. Inoltre, la Corte ha già dichiarato che l’energia elettrica costituisce una merce ai sensi delle disposizioni del Trattato FUE (sentenza del 17 luglio 2008, Essent Netwerk Noord e a., C-206/06, EU:C:2008:413, punto 43 nonché giurisprudenza ivi citata). Pertanto, non occorre applicare l’articolo 18 TFUE nel contesto di una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

40      Alla luce di quanto precede, occorre intendere la questione del giudice del rinvio come diretta, in sostanza, ad accertare se le direttive 2001/77 e 2009/28 nonché gli articoli 28, 30, 34, 107, 108 e 110 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano a una misura nazionale che, da un lato, obbliga gli importatori di energia elettrica proveniente da un altro Stato membro, i quali non dimostrino che tale energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili presentando garanzie di origine, ad acquistare presso produttori nazionali o certificati verdi o elettricità verde in proporzione alla quantità di energia elettrica che essi importano e, dall’altro, prevede l’irrogazione di una sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo, mentre i produttori nazionali di elettricità verde non sono tenuti ad un siffatto obbligo di acquisto.

 

 Sulle direttive 2001/77 e 2009/28

 

 Sulla direttiva 2001/77

 

41      Per quanto riguarda la questione se la direttiva 2001/77 debba essere interpretata nel senso che osta ad una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale, occorre ricordare che tale direttiva, come risulta dal suo articolo 1, mira a promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato interno e a creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia.

 

42      Peraltro, dall’articolo 4 di tale direttiva, in combinato disposto con il suo considerando 14, risulta che un importante mezzo per realizzare l’obiettivo perseguito da detta direttiva, fino all’introduzione di un quadro comunitario, consiste nel garantire il buon funzionamento dei diversi meccanismi di sostegno delle fonti energetiche rinnovabili a livello nazionale, tra i quali figura il meccanismo dei certificati verdi.

 

43      Per quanto riguarda tali meccanismi di sostegno, la Corte ha già dichiarato, con riguardo all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/77, che quest’ultima riconosceva agli Stati membri un ampio margine discrezionale al fine dell’adozione e dell’attuazione di tali meccanismi di sostegno ai produttori di elettricità verde (sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

 

44      Tuttavia, come risulta dall’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/77, detti meccanismi devono essere atti a contribuire al conseguimento, da parte degli Stati membri, degli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità verde. Essi devono pertanto, in linea di principio, condurre a un rafforzamento della produzione nazionale di elettricità verde (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium C-492/14, EU:C:2016:732, punto 62 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, secondo il medesimo articolo 3, paragrafo 1, detti meccanismi devono essere proporzionati all’obiettivo da raggiungere.

 

45      Peraltro, la Corte ha dichiarato, alla luce dei considerando 10 e 11 nonché dell’articolo 5, paragrafi 3 e 4, di detta direttiva, che il legislatore dell’Unione non ha inteso imporre agli Stati membri che hanno optato per un regime di sostegno che utilizza certificati verdi di estenderne il beneficio all’elettricità verde prodotta sul territorio di un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, Essent Belgium, da C-204/12 a C-208/12, EU:C:2014:2192, punto 66).

 

46      Da quanto precede risulta che la direttiva 2001/77 non ha proceduto a un’armonizzazione esaustiva del settore da essa disciplinato, cosicché i regimi nazionali di sostegno alla produzione di elettricità verde di cui all’articolo 4 di tale direttiva devono soddisfare le condizioni derivanti dagli articoli 34 e 36 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium C-492/14, EU:C:2016:732, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

 

47      Nel caso di specie, e salvo l’esame del giudice del rinvio, la misura di cui trattasi nel procedimento principale, nella parte in cui prevede l’obbligo, per gli importatori di energia elettrica che non hanno dimostrato, presentando garanzie di origine, che quest’ultima era verde, di acquistare elettricità verde o certificati verdi dai produttori nazionali di energia elettrica, sembra contribuire alla realizzazione dell’obiettivo della direttiva 2001/77. Infatti, tale obbligo può incentivare la produzione nazionale di elettricità verde sia aumentando la domanda di tale elettricità, sia consentendo ai produttori nazionali di detta elettricità di beneficiare di un reddito supplementare derivante dalla vendita dei certificati verdi.

 

48      La misura di cui trattasi nel procedimento principale appare quindi atta a promuovere l’aumento del consumo di elettricità verde, in quanto impone l’immissione di una quota di tale elettricità nella rete nazionale. Per quanto riguarda il carattere proporzionato di tale misura, spetterà al giudice del rinvio tener conto delle valutazioni, esposte ai punti da 110 a 122 della presente sentenza, relative al rispetto del principio di proporzionalità nel contesto dell’interpretazione degli articoli 34 e 36 TFUE.

 

49      Alla luce di quanto precede e salvo tale esame, la direttiva 2001/77 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

 Sulla direttiva 2009/28

 

50      Per quanto riguarda la questione se la direttiva 2009/28 debba essere interpretata nel senso che osta a una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale, occorre osservare che, come risulta dal suo articolo 1, tale direttiva ha lo scopo di stabilire un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, fissando, in particolare, obiettivi nazionali obbligatori per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia.

 

51      Pertanto, in forza dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2009/28, gli Stati membri hanno l’obbligo, da un lato, di assicurare che la loro quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico finale nel corso del 2020 sia almeno pari al loro obiettivo nazionale generale, quale indicato all’allegato I, parte A, di tale direttiva e, dall’altro, di adottare misure per assicurare che la loro quota di energia da fonti rinnovabili sia uguale o superiore a quella indicata nella «traiettoria indicativa» di cui all’allegato I, parte B, di detta direttiva.

 

52      La Corte ha inoltre precisato che dal considerando 25 della direttiva 2009/28 nonché dall’articolo 1, dall’articolo 2, secondo comma, lettera k), e dall’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva risultava che il legislatore dell’Unione non vi aveva inteso operare un’armonizzazione esaustiva dei regimi nazionali di sostegno alla produzione di energia verde (v., in tal senso, sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punti da 59 a 63).

 

53      Al contrario, come dichiarato dalla Corte, dalla formulazione stessa dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2009/28, secondo cui gli Stati membri «possono» applicare, in particolare, regimi di sostegno, risulta che detti Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità quanto alle misure che essi possono adottare per conseguire gli obiettivi fissati all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2021, Essent Belgium C-220/19, EU:C:2021:163, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). In particolare, nell’ambito di tale margine di discrezionalità, gli Stati membri possono optare per regimi di sostegno basati sull’obbligo di acquisto di elettricità verde o di certificati verdi. Infatti, l’articolo 2, secondo comma, lettere k) e l), di detta direttiva definisce la nozione di «regime di sostegno» riferendosi specificamente ai regimi di sostegno nazionali connessi all’obbligo di utilizzare energia prodotta da fonti rinnovabili, compresi quelli che utilizzano certificati verdi.

 

54      La direttiva 2009/28 non osta neppure a un regime di sostegno che favorisca esclusivamente la produzione nazionale di elettricità verde. Infatti, alla luce dei considerando 25, 52 e 56 nonché degli articoli 2, 3 e 15 di tale direttiva, la Corte ha già dichiarato che il legislatore dell’Unione non aveva inteso imporre agli Stati membri che avessero optato per un regime di sostegno che utilizzasse certificati verdi di estendere il beneficio di quest’ultimo all’elettricità verde prodotta sul territorio di un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punti da 49 a 53).

 

55      Nel caso di specie, per gli stessi motivi esposti al punto 47 della presente sentenza, la misura di cui trattasi nel procedimento principale sembra contribuire alla realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2009/28 e sembra a priori atta a promuovere l’aumento del consumo di elettricità verde.

 

56      Tuttavia, quando gli Stati membri adottano misure tramite le quali danno attuazione al diritto dell’Unione, essi sono tenuti a rispettare i principi generali di tale diritto, tra i quali figura il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Agrenergy e Fusignano Due, C-180/18, C-286/18 e C-287/18, EU:C:2019:605, punto 28). Spetta pertanto al giudice del rinvio esaminare la compatibilità della misura di cui trattasi nel procedimento principale alla luce di tale principio, tenendo conto delle valutazioni, esposte ai punti da 110 a 122 della presente sentenza, relative al rispetto del principio di proporzionalità nel contesto dell’interpretazione degli articoli 34 e 36 TFUE.

 

57      Pertanto, salvo tale esame da parte del giudice del rinvio, la direttiva 2009/28 deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

58      Poiché, come risulta dai punti 46 e 52 della presente sentenza, né la direttiva 2001/77 né la direttiva 2009/28 hanno proceduto a un’armonizzazione esaustiva del settore da esse disciplinato, occorre inoltre esaminare la portata del diritto primario invocato dal giudice del rinvio (v., in tal senso, sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

 

 Sulle norme in materia di aiuti di Stato

 

59      Per quanto riguarda le disposizioni di diritto primario invocate dal giudice del rinvio, occorre valutare, in primo luogo, se la misura di cui trattasi nel procedimento principale possa rientrare nell’ambito di applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE.

 

60      Infatti, in virtù del sistema di controllo degli aiuti di Stato istituito da tali disposizioni, tanto i giudici nazionali quanto la Commissione sono competenti ad accertare l’esistenza di un regime o di una misura di aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Poiché la Corte è competente a fornire a tali giudici tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che possano consentire a questi ultimi di pronunciarsi sulla compatibilità di un regime o di una misura nazionale con tale diritto ai fini della soluzione della controversia portata alla loro cognizione, essa può fornire a detti giudici gli elementi di interpretazione che consentano loro di stabilire se un regime o una misura nazionale possano essere qualificati come «aiuto di Stato» ai sensi del diritto dell’Unione. Per contro, la valutazione della compatibilità di tale regime o di tale misura con il mercato interno rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 27 gennaio 2022, Fondul Proprietatea, C-179/20, EU:C:2022:58, punti 83 e 84 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

61      Ne consegue che, quando un giudice nazionale constata l’esistenza di un regime di aiuti, esso è competente a valutare la conformità delle modalità di tale regime alle disposizioni del Trattato aventi effetto diretto diverse da quelle relative agli aiuti di Stato solo se tali modalità siano indissolubilmente legate all’oggetto stesso dell’aiuto (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2019, A-Fonds, C-598/17, EU:C:2019:352, punti da 46 a 49 e giurisprudenza ivi citata).

 

62      Per quanto riguarda la possibile qualificazione da parte del giudice del rinvio della misura di cui trattasi nel procedimento principale come «aiuto di Stato», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che una siffatta qualificazione richiede che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, esso deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario. In quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (sentenza del 27 gennaio 2022, Fondul Proprietatea, C-179/20, EU:C:2022:58, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

 

63      Prima di fornire al giudice del rinvio elementi interpretativi per ciascuna di queste quattro condizioni, occorre rilevare che il regime di cui trattasi nel procedimento principale, come descritto al punto 37 della presente sentenza, è, a priori, idoneo a conferire due vantaggi economici ai produttori di elettricità verde italiani, vale a dire, da un lato, il vantaggio di poter vendere la loro elettricità senza dover acquistare elettricità verde o certificati verdi e, dall’altro, il vantaggio di poter vendere i certificati verdi ricevuti gratuitamente in proporzione all’elettricità verde da essi prodotta a produttori o importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili.

 

 Sull’incidenza sugli scambi tra Stati membri e sulla concorrenza

 

64      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, per qualificare una misura nazionale come «aiuto di Stato» non è necessario dimostrare una reale incidenza dell’aiuto sugli scambi tra gli Stati membri e un’effettiva distorsione della concorrenza, ma basta esaminare se l’aiuto sia idoneo a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza (sentenza del 27 gennaio 2022, Fondul Proprietatea, C-179/20, EU:C:2022:58, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).

 

65      Nel caso di specie, gli importatori e i produttori di energia elettrica esercitano la loro attività su un mercato dell’energia elettrica che, a seguito della sua liberalizzazione, è aperto alla concorrenza. La concessione dei vantaggi di cui al punto 63 della presente sentenza ai produttori nazionali di elettricità verde può quindi incidere sulla concorrenza tra tali produttori nazionali e gli importatori di energia elettrica che non hanno ottenuto alcuna esenzione dall’obbligo di acquisto di elettricità verde o di certificati verdi. Peraltro, poiché tale obbligo di acquisto grava sugli importatori di energia elettrica che non hanno ottenuto alcuna esenzione, esso è maggiormente idoneo a incidere sugli scambi tra Stati membri.

 

66      Pertanto, una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale è idonea a incidere sugli scambi tra Stati membri e a falsare la concorrenza.

 

 Sull’esistenza di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali

 

67      Risulta da una giurisprudenza costante della Corte che, affinché determinati vantaggi possano essere qualificati come «aiuti» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, essi devono, da un lato, essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essere imputabili allo Stato (v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, DOBELES HES, C-702/20 e C-17/21, EU:C:2023:1, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

 

68      Al fine di valutare, in primo luogo, l’imputabilità della misura allo Stato, occorre verificare se le autorità pubbliche siano state in qualche modo coinvolte nell’adozione di tale misura (sentenza del 21 ottobre 2020, Eco TLC, C-556/19, EU:C:2020:844, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

 

69      Nel caso di specie, tanto la misura di cui trattasi nel procedimento principale quanto il regime di sostegno cui essa appartiene sono stati istituiti da testi di natura legislativa, vale a dire il decreto legislativo n. 79/1999 e il decreto legislativo n. 387/2003. Pertanto, tale misura e tale regime devono essere considerati imputabili allo Stato, ai sensi della giurisprudenza menzionata al punto precedente.

 

70      In secondo luogo, al fine di determinare se l’aiuto sia stato concesso direttamente o indirettamente mediante risorse statali, occorre ricordare che la distinzione stabilita all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE tra gli aiuti concessi «dagli Stati» e quelli concessi «mediante risorse statali» non significa che tutti i vantaggi concessi da uno Stato membro costituiscano aiuti, siano essi finanziati mediante risorse statali o meno. Tale distinzione mira unicamente ad evitare che il semplice fatto di creare enti autonomi incaricati della distribuzione di aiuti consenta di eludere le norme del Trattato FUE relative agli aiuti di Stato (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Germania/Commissione, C-405/16 P, EU:C:2019:268, punti 53 e 54 e giurisprudenza ivi citata).

 

71      Infatti, le risorse menzionate nel divieto previsto all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE comprendono tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche possono effettivamente usare per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che tali strumenti appartengano o meno permanentemente al patrimonio dello Stato (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Germania/Commissione, C-405/16 P, EU:C:2019:268, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

 

72      Esse comprendono, da un lato, quelle che sono direttamente sotto il controllo dello Stato, vale a dire tutti gli strumenti appartenenti al patrimonio dello Stato e, dall’altro, quelle che lo sono indirettamente, in particolare perché rientrano nel patrimonio degli enti pubblici o privati istituiti o designati da quest’ultimo al fine di gestire aiuti (v., in tal senso, sentenza del 15 maggio 2019, Achema e a., C-706/17, EU:C:2019:407, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, risorse di imprese pubbliche possono essere considerate risorse statali quando lo Stato è in grado, esercitando la sua influenza dominante, di orientare la loro utilizzazione per finanziare vantaggi a favore di altre imprese (sentenza del 13 settembre 2017, ENEA, C-329/15, EU:C:2017:671, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Allo stesso modo, quando enti distinti dall’autorità pubblica gestiscono e ripartiscono, conformemente a una normativa statale, fondi alimentati mediante contributi obbligatori imposti da tale normativa, tali fondi possono essere considerati risorse statali qualora tali enti siano incaricati dallo Stato di gestire tali risorse e non semplicemente vincolati a un obbligo di acquisto mediante risorse proprie (v., in tal senso, sentenze del 28 marzo 2019, Germania/Commissione, C-405/16 P, EU:C:2019:268, punti 58 e 59, nonché del 15 maggio 2019, Achema e a., C-706/17, EU:C:2019:407, punti 54 e 55 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

73      Occorre tuttavia ricordare che il requisito che gli aiuti siano concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali implica che la loro concessione deve incidere su queste ultime. Deve quindi esistere un nesso sufficientemente diretto tra, da un lato, il vantaggio che tali aiuti conferiscono e, dall’altro, una riduzione di tali risorse, o un rischio economico sufficientemente concreto di oneri gravanti su di esse (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Germania/Commissione, C-405/16 P, EU:C:2019:268, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). In tal senso, la Corte ha dichiarato che un siffatto nesso mancava in un caso in cui la destinazione delle risorse statali di una misura che obbligava imprese private di fornitura di energia elettrica ad acquistare a prezzi minimi prefissati l’energia elettrica prodotta da fonti di energia rinnovabili consisteva unicamente in una diminuzione delle entrate fiscali dello Stato derivante dalle conseguenze negative di tale obbligo sui risultati economici delle imprese soggette allo stesso (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2001, PreussenElektra, C-379/98, EU:C:2001:160, punto 62).

 

74      È alla luce dei precedenti richiami giurisprudenziali che spetta al giudice del rinvio valutare, in particolare, in primo luogo, se la messa a disposizione gratuita di certificati verdi ai produttori nazionali di elettricità verde sia tale da mobilitare risorse statali. A tal riguardo, occorre precisare che, a prima vista, tale messa a disposizione non sembra comportare un trasferimento di risorse controllate dallo Stato verso i produttori italiani di elettricità verde. Infatti, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che detta messa a disposizione comporti un qualsivoglia impegno economico da parte di organi assimilabili allo Stato. Tali certificati verdi sembrano avere un valore economico solo a causa dell’obbligo giuridico che grava su taluni produttori e importatori di acquistarli. Orbene, quando tali produttori e importatori si assoggettano a tale obbligo acquistandoli presso produttori di elettricità verde, gli importi percepiti da questi ultimi non sembrano essere sotto il controllo dello Stato ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 71 e 72 della presente sentenza, poiché la ridistribuzione finanziaria di cui trattasi nel procedimento principale sembra operare da un soggetto privato ad un altro, senza ulteriori interventi dello Stato. Il vantaggio rappresentato dalla concessione di tali certificati ai produttori nazionali di elettricità verde sembra quindi finanziato unicamente da risorse provenienti da produttori o importatori obbligati ad acquistare detti certificati, senza che vi sia un controllo da parte dello Stato su queste ultime.

 

75      In secondo luogo, spetterà al giudice del rinvio valutare se il meccanismo previsto dal regime di cui trattasi nel procedimento principale al fine di garantire un certo valore ai certificati verdi coinvolga risorse statali. A tal riguardo, sembra che tale regime non imponga solo ai produttori di energia elettrica convenzionale e agli importatori di acquistare detti certificati quando non producono né acquistano elettricità verde al fine di raggiungere la quota di elettricità verde che devono immettere nella rete nazionale. Sembra altresì emergere dall’articolo 11, paragrafo 3, del decreto legislativo n. 79/1999 e dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio nonché dalle parti nel procedimento principale che detto regime garantisce, a vantaggio dei produttori italiani di elettricità verde, un valore economico minimo a detti certificati verdi. Infatti, tale disposizione sembra imporre al GSE, un ente controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, l’acquisto dei certificati verdi quando questi ultimi sono eccedenti rispetto a quelli necessari per gli operatori obbligati ad acquistarne. Tale possibile intervento del GSE impedisce così che un’offerta eccedentaria di certificati verdi possa compromettere il sostegno ai produttori nazionali di elettricità verde.

 

76      Orbene, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che le risorse di cui dispone il GSE per l’acquisto dei certificati verdi eccedenti provengono dalle entrate ottenute a titolo della componente tariffaria A3, un onere pecuniario imposto dalla normativa italiana ai consumatori italiani di energia elettrica versato sui conti del GSE al fine di consentirgli tale acquisto. Pertanto, una diminuzione delle risorse sotto il controllo dello Stato dovuta all’acquisto, da parte del GSE, dei certificati verdi eccedenti appare in relazione sufficientemente diretta con il vantaggio costituito dalla concessione a titolo gratuito di tali certificati verdi ai produttori nazionali di elettricità verde affinché essi possano rivenderli sul mercato.

 

77      Di conseguenza, e fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio, l’acquisto dei certificati verdi eccedenti sembra essere effettuato da un ente assimilabile allo Stato, sulla base del mandato conferitogli dalla normativa italiana, mediante l’entrata proveniente da una componente tariffaria versata a tal fine dai consumatori.

 

78      Su tale base e purché, come afferma la Fallimento Esperia nelle sue osservazioni scritte, tali acquisti da parte del GSE abbiano effettivamente avuto luogo nel corso del 2010, occorre constatare che il regime di sostegno di cui fa parte la misura di cui trattasi nel procedimento principale comporta un trasferimento di risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

 

79      Di conseguenza, tale misura sembra imputabile allo Stato italiano e i vantaggi che essa conferisce sembrano essere concessi indirettamente mediante risorse statali.

 

 Sulla selettività del vantaggio

 

80      Per quanto riguarda la condizione relativa alla concessione di un vantaggio selettivo, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che la valutazione di tale condizione richiede di stabilire se, nell’ambito di un dato regime giuridico, la misura nazionale in discussione sia tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre che si trovino in una situazione materiale e giuridica analoga, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da detto regime, e che siano quindi oggetto di un trattamento differenziato idoneo, in sostanza, ad essere qualificato come discriminatorio (sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck, C-524/14 P, EU:C:2016:971, punto 41, nonché del 15 maggio 2019, Achema e a., C-706/17, EU:C:2019:407, punto 84 e giurisprudenza ivi citata).

 

81      Poiché l’esame di un vantaggio selettivo deve essere effettuato «nell’ambito di un dato regime giuridico», esso comporta, in linea di principio, la previa definizione del quadro di riferimento del quale fa parte la misura di cui trattasi, fermo restando che tale metodo non è riservato all’esame di misure fiscali (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck, C-524/14 P, EU:C:2016:971, punti 54 e 55).

 

82      Il quadro di riferimento deriva dal diritto nazionale dello Stato membro interessato. Esso deve essere composto da norme giuridiche rientranti in un settore che non è stato oggetto di un’armonizzazione completa a livello del diritto dell’Unione e tali norme devono perseguire un obiettivo compatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2021, Commissione/Ungheria, C-596/19 P, EU:C:2021:202 punto 44).

 

83      Inoltre, tale quadro di riferimento non deve esso stesso essere incompatibile con il diritto dell’Unione in materia di aiuti di Stato, il quale mira a garantire il buon funzionamento del mercato interno dell’Unione garantendo che misure adottate dagli Stati membri a favore di imprese non falsino la concorrenza in tale mercato (v., in tal senso, sentenza del 6 marzo 2018, Commissione/FIH Holding e FIH Erhvervsbank, C-579/16 P, EU:C:2018:159, punto 45 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

84      La determinazione di tale quadro di riferimento deve derivare da un esame obiettivo del contenuto, dell’articolazione e degli effetti concreti delle norme applicabili in forza del diritto nazionale dello Stato membro interessato (sentenza dell’8 novembre 2022, Fiat Chrysler Finance Europe/Commissione, C-885/19 P e C-898/19 P, EU:C:2022:859, punto 72 nonché giurisprudenza ivi citata). A seguito di tale esame, il quadro di riferimento identificato deve essere provvisto di un’autonoma logica giuridica, con un obiettivo proprio, e non può essere collegato a un insieme normativo coerente al di fuori di quest’ultimo. Quando una misura è chiaramente separabile da un sistema generale, non si può escludere che il quadro di riferimento che dev’essere preso in considerazione sia più ristretto, o addirittura che esso si identifichi con la misura stessa, qualora essa si presenti come una norma provvista di una logica giuridica autonoma e sia impossibile identificare un insieme normativo coerente al di fuori di tale misura (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Banco Santander e a./Commissione, C-53/19 P e C-65/19 P, EU:C:2021:795, punto 63).

 

85      La determinazione di tale quadro di riferimento avviene, in linea di principio, indipendentemente dall’obiettivo perseguito dall’autorità nazionale al momento dell’adozione della misura esaminata alla luce delle norme applicabili in materia di aiuti di Stato. Inoltre, la tecnica regolamentare utilizzata dal legislatore nazionale per tale determinazione non è decisiva. Infine, detta determinazione non può avere come risultato un quadro di riferimento costituito da alcune disposizioni estrapolate artificiosamente da un quadro normativo più ampio (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Banco Santander e a./Commissione, C-53/19 P e C-65/19 P, EU:C:2021:795, punti 62, 65 e 94 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

86      Risulta altresì da una giurisprudenza costante che la nozione di «aiuto di Stato» non riguarda i provvedimenti statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese e, quindi, selettivi a priori, qualora tale differenziazione risulti dalla natura o dalla struttura del sistema del quale tali provvedimenti fanno parte (sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck, C-524/14 P, EU:C:2016:971, punto 41, nonché del 26 aprile 2018, ANGED, C-234/16 e C-235/16, EU:C:2018:281, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

 

87      Tuttavia, la Corte ha ripetutamente dichiarato che lo scopo degli interventi statali non è sufficiente a sottrarli ipso facto alla qualificazione come «aiuti» ai sensi dell’articolo 107 TFUE (sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C-487/06 P, EU:C:2008:757, punto 84). Essa ha dichiarato, in particolare, che, anche se la tutela dell’ambiente costituisce uno degli obiettivi essenziali dell’Unione, la necessità di prendere in considerazione tale obiettivo non giustifica l’esclusione di misure selettive dall’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, C-279/08 P, EU:C:2011:551, punto 75). Inoltre, essa ha escluso che possa rientrare in tale deroga una misura che istituisce una differenziazione tra imprese, la quale, sebbene fondata su un criterio obiettivo, è incoerente rispetto al sistema del quale fa parte e, pertanto, non può essere giustificata dalla natura e dalla struttura di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2001, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, C-143/99, EU:C:2001:598, punti da 48 a 55).

 

88      Nel caso di specie, come risulta dall’interpretazione delle direttive 2001/77 e 2009/28 di cui ai punti da 41 a 58 della presente sentenza, le norme enunciate nei decreti legislativi nn. 79/1999 e 387/2003 rientrano in un settore che non è stato oggetto di armonizzazione a livello del diritto dell’Unione e perseguono l’obiettivo legittimo alla luce di tale diritto di sostenere la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili.

 

89      Tuttavia, per poter costituire un quadro di riferimento, spetta al giudice del rinvio valutare se tali norme possano costituire un insieme normativo coerente e autonomo. A tal riguardo, occorre ricordare che dette norme riguardano la produzione e l’immissione sul mercato di elettricità verde al fine di promuovere il consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili. Occorre quindi stabilire se queste stesse norme siano ricollegabili all’insieme di quelle che disciplinano la produzione, la distribuzione e la commercializzazione dell’energia elettrica che hanno lo scopo di creare e di garantire il corretto funzionamento di un mercato dell’energia elettrica concorrenziale.

 

90      Nel caso in cui il giudice del rinvio giungesse alla conclusione che il quadro di riferimento di cui trattasi nel procedimento principale è il sistema generale che disciplina la produzione, la commercializzazione e il consumo di energia elettrica in Italia, si dovrebbe constatare che la misura di cui trattasi nel procedimento principale conferisce a priori un vantaggio selettivo ai produttori nazionali di elettricità verde. Infatti, alla luce dell’obiettivo perseguito da tale quadro normativo, vale a dire creare e assicurare il funzionamento di un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, tali produttori si trovano in una situazione giuridica e fattuale analoga a quella degli importatori di energia elettrica che non hanno dimostrato che l’energia elettrica da essi importata sia verde, dal momento che ciascuno di tali operatori mette in vendita elettricità sul mercato italiano dell’energia elettrica. Essi contribuiscono quindi alla realizzazione dell’obiettivo consistente nel disporre in Italia di un mercato dell’energia elettrica disciplinato dalla legge della domanda e dell’offerta.

 

91      Tuttavia, come risulta dal punto 86 della presente sentenza, misure a priori selettive non costituiscono aiuti di Stato qualora la differenziazione tra imprese introdotta da provvedimenti statali risulti dalla natura o dalla struttura del sistema di cui esse fanno parte.

 

92      Nel caso di specie, qualora risulti che, in assenza del regime di sostegno di cui trattasi nel procedimento principale, non potrebbe esservi offerta di elettricità verde sul mercato italiano dell’energia elettrica, la differenziazione operata tra i produttori di elettricità verde e i produttori e importatori di energia elettrica proveniente da fonti non rinnovabili può essere giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema generale che disciplina la produzione, la commercializzazione e il consumo di energia elettrica in Italia. Infatti, il corretto funzionamento di un mercato concorrenziale dell’energia elettrica in Italia perseguito da tale sistema generale può richiedere l’esistenza su tale mercato di un’offerta concorrenziale di elettricità verde. L’adeguatezza del funzionamento del mercato può infatti essere definita dal legislatore italiano tenendo conto della necessità di garantire la tutela dell’ambiente.

 

93      Orbene, se risulta che il costo di produzione più elevato dell’elettricità verde rispetto a quello dell’energia elettrica proveniente da fonti non rinnovabili ostacola un’offerta concorrenziale di tale merce sul mercato, la differenza di trattamento tra i produttori di elettricità verde e i produttori e importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili creata dal regime di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe essere giustificata dalla necessità di colmare tale carenza del mercato. Una tale giustificazione sarebbe tuttavia possibile solo a condizione che il sostegno conferito da detto regime sia strettamente limitato a quanto necessario per colmare tale carenza del mercato e che esso sia concesso in modo totalmente coerente rispetto al sistema generale di cui trattasi nel procedimento principale.

 

94      Peraltro, qualora la misura di cui trattasi nel procedimento principale non potesse essere giustificata alla luce della natura e della struttura del sistema di riferimento del quale essa fa parte, la mancata notifica di tale misura e la sua attuazione prima che la Commissione si pronunci sulla sua compatibilità costituirebbero una violazione dell’articolo 108 TFUE. In un caso del genere, spetterebbe al giudice del rinvio trarre tutte le conseguenze della violazione di tale disposizione e rimediare all’esecuzione degli aiuti (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Arriva Italia e a., C-385/18, EU:C:2019:1121, punto 84 nonché giurisprudenza ivi citata). Peraltro, l’illegittimità del regime di sostegno in questione comporterebbe l’illegittimità della sanzione prevista per garantire l’esecuzione di tale regime (v., in tal senso, ordinanza dell’11 gennaio 2024, Prezes Urzedu Regulacji Energetyki, C-220/23, EU:C:2024:34, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

95      Ne consegue che, se il giudice del rinvio conclude che il vantaggio conferito ai produttori di elettricità verde dalla misura di cui trattasi nel procedimento principale è giustificato dalla natura e dalla struttura del sistema di riferimento del quale essa fa parte, gli articoli 107 e 108 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una siffatta misura.

 

 Sulle norme in materia di libera circolazione delle merci

 

96      Come risulta dal punto 61 della presente sentenza, qualora il giudice del rinvio giunga alla conclusione che la misura di cui trattasi nel procedimento principale non rientra in un regime di aiuti di Stato o che essa è separabile dalle altre disposizioni di tale regime, esso dovrà ancora valutare la compatibilità di tale misura con le norme dell’Unione in materia di Unione doganale e di libera circolazione delle merci.

 

97      A tal riguardo, esso dovrà valutare, anzitutto, se detta misura possa contravvenire agli articoli 28, 30 e 110 TFUE e, successivamente, se essa possa essere contraria all’articolo 34 TFUE. Infatti, l’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE non comprende gli ostacoli considerati da altre disposizioni specifiche e gli ostacoli di natura fiscale o di effetto equivalente a dazi doganali di cui agli articoli 28, 30 e 110 TFUE non rientrano nel divieto enunciato all’articolo 34 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2007, Brzezinski, C-313/05, EU:C:2007:33, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

 

 Sul divieto di imporre dazi doganali e tasse di effetto equivalente

 

98      Gli articoli 28 e 30 TFUE vietano l’imposizione di dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di tasse di effetto equivalente tra gli Stati membri. Un dazio doganale ai sensi di tali disposizioni è un’imposizione che uno Stato membro preleva su una merce quando questa attraversa la sua frontiera. Inoltre, secondo costante giurisprudenza della Corte, costituisce una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale qualsiasi onere pecuniario, ancorché minimo, imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci per il fatto di attraversare una frontiera, quando non si tratti di un dazio doganale in senso proprio (sentenza del 6 dicembre 2018, FENS, C-305/17, EU:C:2018:986, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

 

99      Una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che obbliga gli operatori che importano energia elettrica ad acquistare certificati verdi, non può essere qualificata come dazio doganale in quanto non è né un’imposta prelevata dalle autorità nazionali né un prelievo riscosso quando l’elettricità prodotta all’estero attraversa la frontiera nazionale. Un obbligo del genere non pare neppure essere una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale, dal momento che esso non sembra colpire l’energia elettrica per il fatto che essa attraversa una frontiera nazionale.

 

100    Ne consegue che gli articoli 28 e 30 TFUE non ostano ad una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

 Sul divieto di adottare imposizioni interne discriminatorie

 

101    Per quanto riguarda il divieto per gli Stati membri di emanare imposizioni interne discriminatorie, sancito dall’articolo 110 TFUE, rientra in tale disposizione un onere pecuniario derivante da un regime generale di tributi interni gravanti sistematicamente, secondo gli stessi criteri obiettivi, su categorie di prodotti indipendentemente dalla loro origine e dalla loro destinazione (sentenza del 6 dicembre 2018, FENS, C-305/17, EU:C:2018:986, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

 

102    Nel caso di specie, l’obbligo di acquisto dei certificati verdi o dell’elettricità verde imposto dalla misura di cui trattasi nel procedimento principale non sembra essere un onere pecuniario risultante da un regime generale di imposizioni interne. Infatti, salva verifica da parte del giudice del rinvio, un siffatto obbligo non è di natura fiscale o parafiscale e non ricade pertanto nell’ambito di applicazione del divieto di cui all’articolo 110 TFUE.

 

103    L’articolo 110 TFUE deve pertanto essere interpretato nel senso che non osta a una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

 Sul divieto di adottare restrizioni quantitative all’importazione

 

104    La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri è un principio fondamentale del Trattato FUE che trova la sua espressione nell’articolo 34 TFUE (sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 65 e giurisprudenza ivi citata), il quale vieta agli Stati membri di adottare tra loro restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.

 

105    Secondo costante giurisprudenza, detta disposizione riguarda qualsiasi misura nazionale idonea ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio all’interno dell’Unione (sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

 

106    Nel caso di specie, la misura di cui trattasi nel procedimento principale è idonea a creare un ostacolo alle importazioni di energia elettrica in Italia sotto un duplice profilo. Da un lato, essa crea un tale ostacolo imponendo agli importatori che intendano beneficiare di un’esenzione l’obbligo di sollecitarne il beneficio e di presentare a tal fine garanzie di origine. A tal riguardo, occorre ricordare che una misura nazionale non sfugge al divieto sancito dall’articolo 34 TFUE per il solo fatto che l’ostacolo creato all’importazione è di poco conto e che esistono altre possibilità di smerciare i prodotti importati (sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 99 e giurisprudenza ivi citata). Dall’altro, essa crea un tale ostacolo obbligando gli importatori che non chiedono una siffatta esenzione ad acquistare certificati verdi o elettricità verde, pena l’irrogazione di una sanzione.

 

107    Tuttavia, una normativa o una prassi nazionale che costituisce una misura d’effetto equivalente a restrizioni quantitative può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale elencati all’articolo 36 TFUE oppure da esigenze imperative. Nell’uno e nell’altro caso, la misura nazionale deve rispettare il principio di proporzionalità, il quale esige che la misura sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (v., in tal senso, sentenze del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 76, nonché del 17 dicembre 2020, Onofrei, C-218/19, EU:C:2020:1034, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

 

108    A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che misure nazionali idonee ad ostacolare il commercio all’interno dell’Unione possono essere giustificate da esigenze imperative attinenti alla tutela dell’ambiente e, in particolare, dall’intento di promuovere un maggior uso delle fonti di energia rinnovabili per la produzione di energia elettrica che sia utile a tale tutela e che miri, inoltre, anche alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali nonché alla preservazione dei vegetali, motivi di interesse generale elencati all’articolo 36 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 101, e del 4 ottobre 2018, L.E.G.O., C-242/17, EU:C:2018:804, punti 64 e 65 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

109    Nel caso di specie, tanto l’obbligo per gli importatori di acquistare certificati verdi o elettricità verde al fine di poter importare la loro energia elettrica quanto l’obbligo di fornire garanzie di origine per beneficiare di un’esenzione da tale obbligo di acquisto quando l’energia elettrica importata è verde può essere giustificato dalla promozione della produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili. La circostanza che il regime di sostegno di cui trattasi nel procedimento principale sia concepito in modo tale da beneficiare direttamente alla produzione di elettricità verde piuttosto che al suo solo consumo può spiegarsi, in particolare, alla luce del fatto che il carattere verde dell’energia elettrica attiene soltanto al suo modo di produzione e che, quindi, è anzitutto nella fase della produzione che gli obiettivi ambientali relativi alla riduzione delle emissioni di gas possono essere effettivamente perseguiti (v., per analogia, sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).

 

110    Il giudice del rinvio deve, tuttavia, ancora verificare se tali restrizioni siano conformi al principio di proporzionalità.

 

111    Per quanto riguarda l’obbligo di chiedere il beneficio di un’esenzione e di presentare a tal fine garanzie di origine, si deve osservare che, una volta ammessa l’elettricità verde nella rete di trasmissione o di distribuzione, è difficile stabilirne l’origine e, in particolare, identificare la fonte di energia a partire dalla quale essa è stata prodotta (sentenza del 20 aprile 2023, EEW Energy from Waste, C-580/21, EU:C:2023:304, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). Alla luce di tale difficoltà, l’articolo 5 della direttiva 2001/77 e in seguito l’articolo 15 della direttiva 2009/28 hanno imposto agli Stati membri di istituire e controllare un regime di garanzie di origine in modo tale che i produttori di energia elettrica che utilizzano fonti energetiche rinnovabili possano dimostrare che l’energia elettrica da essi venduta è prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

 

112    L’obbligo di chiedere un’esenzione mediante la presentazione di certificati verdi sembra idoneo a garantire che l’energia elettrica importata sia effettivamente verde e contribuisca pertanto all’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili al fine di tutelare l’ambiente nonché la salute e la vita delle persone e degli animali e di preservare i vegetali. Inoltre, esso sembra necessario dal momento che, tenuto conto della natura fungibile dell’elettricità verde, non sarebbe possibile in una fase successiva della distribuzione o del consumo determinare la fonte di energia a partire dalla quale essa è stata prodotta e che le garanzie di origine fanno parte di un meccanismo uniforme per dimostrare che l’energia elettrica è stata prodotta da fonti rinnovabili.

 

113    Pertanto, l’obbligo per gli importatori di elettricità verde di fornire garanzie di origine quando importano tale elettricità al fine di essere esonerati dall’obbligo di acquisto di certificati verdi o di elettricità verde non viola l’articolo 34 TFUE.

 

114    Per quanto riguarda l’obbligo per gli importatori di energia elettrica di acquistare certificati verdi o elettricità verde qualora non presentino garanzie di origine per l’energia elettrica che importano, occorre osservare che la Corte ha già dichiarato, a proposito di regimi di sostegno nazionali alla produzione di elettricità verde che ricorrono al meccanismo detto dei «certificati verdi», che l’obbligo per i fornitori di energia elettrica di acquistare presso produttori di elettricità verde una quota di tali certificati era segnatamente destinato a garantire a detti produttori una domanda per i certificati ad essi attribuiti e a facilitare in tal modo lo smaltimento dell’energia verde che essi producono a un prezzo superiore al prezzo di mercato dell’energia tradizionale (sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 109).

 

115    La Corte ha in particolare sottolineato, a tal riguardo, che non sembrava poter essere messo in dubbio l’effetto incentivante esercitato da un siffatto regime sui produttori di energia elettrica in generale al fine di indurli ad aumentare la loro produzione di elettricità verde né, pertanto, l’idoneità di quest’ultimo a conseguire l’obiettivo legittimo perseguito di promuovere l’uso delle fonti di energia rinnovabili al fine di tutelare l’ambiente nonché la salute e la vita delle persone e degli animali e di preservare i vegetali. Simili regimi di sostegno all’energia verde, il cui costo di produzione appare sempre molto elevato se confrontato con quello dell’energia elettrica prodotta da fonti di energia non rinnovabili, sono volti, per definizione, a favorire segnatamente, in una prospettiva di lungo termine, investimenti in nuovi impianti, attribuendo ai produttori talune garanzie quanto alla futura vendita della loro produzione di elettricità verde (sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punti 109 e 110 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

116    In tal senso, la Corte ha già dichiarato che uno Stato membro non eccede il margine di discrezionalità ad esso spettante nel perseguimento dell’obiettivo legittimo diretto ad aumentare la produzione di elettricità verde adottando un regime di sostegno nazionale che utilizza, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, certificati verdi al fine, in particolare, di far sopportare il costo aggiuntivo legato alla produzione di elettricità verde direttamente al mercato, vale a dire ai fornitori e agli utenti di energia elettrica che sono vincolati ad un obbligo di quota e, in definitiva, ai consumatori (v., in tal senso, sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punti 109 e 110).

 

117    Il buon funzionamento di un siffatto regime richiede tuttavia che siano istituiti meccanismi che garantiscano l’attuazione di un vero mercato dei certificati verdi in cui l’offerta e la domanda possano effettivamente incontrarsi e tendere verso l’equilibrio, di modo che sia effettivamente possibile per i fornitori e per gli utenti interessati approvvigionarvisi di certificati a condizioni eque (sentenza del 1º luglio 2014, Ålands Vindkraft, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 114).

 

118    Da quanto precede risulta che la misura di cui trattasi nel procedimento principale, in quanto impone agli importatori di energia elettrica l’acquisto di certificati verdi o di elettricità verde, sembra idonea a promuovere l’uso delle fonti di energia rinnovabili al fine di tutelare l’ambiente nonché la salute e la vita delle persone e degli animali e di preservare vegetali. Inoltre, salva verifica da parte del giudice nazionale, sembra esistere un vero mercato dei certificati verdi sul quale gli importatori possono approvvigionarsi e la cui efficienza sembra essere garantita dall’intervento del GSE. Infatti, dall’articolo 11, paragrafo 3, del decreto legislativo n. 79/1999 sembra risultare che il GSE ha l’obbligo di immettere sul mercato certificati verdi in caso di carenza o di riacquistarli sul mercato in caso di offerta eccedentaria, il che garantisce sia ai produttori di elettricità verde sia agli operatori tenuti ad acquistarne l’esistenza di un mercato dei certificati verdi.

 

119    Peraltro, la misura di cui trattasi nel procedimento principale appare necessaria al regime cui essa appartiene. Infatti, se gli importatori di energia elettrica di cui non è dimostrato che sia verde dovessero sottrarsi all’obbligo di acquisto di certificati verdi o di elettricità verde, ne risulterebbe rimessa in discussione l’efficacia del sistema di sostegno alla produzione nazionale e al consumo di elettricità verde. A tal riguardo, occorre ricordare che, come risulta dai punti da 41 a 58 della presente sentenza, gli Stati membri sono tenuti, tramite i loro meccanismi di sostegno, a conseguire gli obiettivi nazionali stabiliti dalle direttive 2001/77 e 2009/28 e che il diritto dell’Unione non ha proceduto ad un’armonizzazione dei regimi di sostegno nazionali all’elettricità verde, cosicché, in linea di principio, è consentito agli Stati membri limitare il beneficio di tali regimi alla produzione di elettricità verde localizzata sul loro territorio (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C-492/14, EU:C:2016:732, punti 106 e 107 nonché giurisprudenza ivi citata).

 

120    Alla luce di quanto precede, il regime di sostegno di cui fa parte la misura di cui trattasi nel procedimento principale sembra idoneo a garantire in modo coerente e sistematico la promozione dell’uso di fonti di energia rinnovabili, uso che, a sua volta, contribuisce alla tutela dell’ambiente, della salute, della vita delle persone e degli animali nonché dei vegetali. A priori, esso non sembra eccedere quanto necessario per raggiungere tali obiettivi.

 

121    Infine, poiché la normativa di cui trattasi nel procedimento principale prevede una sanzione per gli importatori di energia elettrica che non presentano garanzie di origine e non acquistano elettricità verde o certificati verdi in proporzione alle loro importazioni, essa sembra idonea, con il suo effetto dissuasivo, a promuovere l’uso di fonti di energia rinnovabili. Inoltre, essa può essere qualificata come necessaria nei limiti in cui si impone al fine di garantire l’effettività del sistema di certificati verdi istituito. Tuttavia, le modalità di determinazione e la natura di tale sanzione non possono eccedere quanto richiesto al fine di garantire tale effettività. Spetterà al giudice del rinvio valutare tali elementi.

 

122    Di conseguenza, purché l’obbligo di acquisto dei certificati verdi per gli importatori di energia elettrica che non presentano garanzie di origine sia richiesto al fine di garantire l’efficacia della normativa di cui trattasi nel procedimento principale e risulti che esiste effettivamente un mercato dei certificati verdi, tale normativa non può essere considerata come eccedente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di aumento della produzione di elettricità verde.

 

123    Pertanto, fatte salve le verifiche che il giudice del rinvio deve effettuare, l’articolo 34 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una misura come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

 

124    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sottoposta dichiarando che:

 

         gli articoli 28, 30 e 110 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una misura nazionale che, da un lato, obbliga gli importatori di energia elettrica proveniente da un altro Stato membro, i quali non dimostrino che tale energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili presentando garanzie di origine, ad acquistare presso produttori nazionali o certificati verdi o elettricità verde in proporzione alla quantità di energia elettrica che essi importano e, dall’altro, prevede l’irrogazione di una sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo, mentre i produttori nazionali di elettricità verde non sono tenuti ad un siffatto obbligo di acquisto;

 

        l’articolo 34 TFUE nonché le direttive 2001/77 e 2009/28 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a tale misura nazionale qualora si accerti che essa non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di aumento della produzione di elettricità verde;

 

        gli articoli 107 e 108 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a detta misura nazionale, purché la differenza di trattamento tra i produttori nazionali di elettricità verde e gli importatori di energia elettrica che non presentano alcuna garanzia di origine sia giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema di riferimento del quale essa fa parte.

 

 Sulle spese

 

125    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 28, 30 e 110 TFUE devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano a una misura nazionale che, da un lato, obbliga gli importatori di energia elettrica proveniente da un altro Stato membro, che non dimostrano che tale energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili presentando garanzie di origine, ad acquistare presso produttori nazionali certificati di attestazione dell’origine rinnovabile o energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili in proporzione al quantitativo di energia elettrica che importano, e, dall’altro, prevede l’irrogazione di una sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo, mentre i produttori nazionali di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili non sono tenuti ad un siffatto obbligo di acquisto.

2)      L’articolo 34 TFUE nonché la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, e la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano a tale misura nazionale qualora si accerti che essa non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di aumento della produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

3)      Gli articoli 107 e 108 TFUE devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano a detta misura nazionale, purché la differenza di trattamento tra i produttori nazionali di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e gli importatori di energia elettrica che non presentano alcuna garanzia di origine sia giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema di riferimento del quale essa fa parte.

 

Prechal

 

Biltgen

 

Wahl

 

Passer

 

           

Arastey Sahún

 

 

 

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 marzo 2024.

 

Il cancelliere

 

La presidente di sezione

A. Calot Escobar

A. Prechal

 

*      Lingua processuale: l’italiano.

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici